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Serie A, il gol non parla italiano

TORINO – Tre giornate di campionato sono davvero poche per poter già azzardare una conclusione su rapporti di forza ben definiti, soprattutto considerando che le gare si stanno giocando a mercato ancora aperto, ma almeno un paio di dinamiche emergono già con sufficiente chiarezza. La prima, di cui abbiamo già scritto e ragionato, riguarda il sempre maggiore divario tra squadra di prima e terza fascia (quelle impegnate nella lotta per non retrocedere): un solco già ampio che si è fatto voragine in conseguenza anche dell’aberrazione dei 5 cambi. L’altro, di cui pure si parla e si continuerà a discutere, è la “crisi d’italianità” che sempre più affatica la Serie A. Tralasciando le statistiche oramai ampiamente note sull’utilizzo di giocatori italiani (31 per cento che scende al di sotto del 30 nei club che giocano le coppe), c’è un dato che acclara ancora di più questa tendenza, e per di più in un ruolo cruciale: quello degli attaccanti. Per la prima volta nella storia, infatti, dopo 3 giornate nella classifica marcatori non c’è un italiano che ha segnato più di un gol. Con il solito Immobile che si è preso una pausa dopo il gol all’esordio, infatti, la classifica marcatori è monopolizzata dagli stranieri. Si sono affacciati Pinamonti e Bonazzoli, ma restano fermi a un gol e, anche in quella casella, sono davvero pochi (aggiungete Lasagna e Politano) gli italiani “di ruolo” andati a segno. Un bel problema per il ct Roberto Mancini che tra poco dovrà diramare le convocazioni per le ultime gare di Nations League del 23 settembre (con l’Inghilterra a San Siro) e del 26 settembre (a Budapest contro l’Ungheria). Anche perché dall’estero non è che arrivino buone notizie dai nostri emigranti: Scamacca è ancora a secco in Premier con il West Ham e Lucca ha racimolato appena 21 minuti in Olanda con l’Ajax. Se a questo aggiungete che anche un altro ruolo cardine (quello dei centrali difensivi) è monopolizzato dagli stranieri (da non trascurare, al proposito, la confortante novità di Alessandro Buongiorno nel Torino), allora ecco che il quadro diventa fosco. La Figc monitora, preoccupata, la situazione e valuta la possibilità di cambiare la norma sulle rose introdotta dall’allora Carlo Tavecchio all’indomani dell’eliminazione dal Mondiale brasiliano nel 2014. Norma che prevede, sulla rosa di 25, il 4+4: vale a dire i 4 giocatori formati nel club e i 4 formati in un vivaio italiano. Passando, se la situazione, non migliora, al 5+5 o addirittura al 6+6. Ma attenzione, perché da quando è stata introdotta quella norma, gli stranieri sono aumentati invece che diminuiti. Evidentemente, non è la soluzione giusta e per capirlo basta guardare alle dinamiche demografiche e di reclutamento. Pensate, per esempio, che uno dei primi inseribili in rosa come “formati in Italia” è stato Pandev, colui che con la Macedonia (ancora…) mise più di un mattoncino per determinare la successiva eliminazione dell’Italia di Ventura dal Mondiale di Russia. Questo perché la regola non esclude affatto gli stranieri ma comprende gli “atleti che dai 15 ai 21 anni di età hanno trascorso almeno 36 mesi nella rosa di un club italiano (vivaio nazionale) o della stessa società (vivaio di club)”. Ovvio che vi possano essere stranieri. Il vulnus si è ancora più aggravato ora che i vivai sono pieni di italiani di seconda generazione, che quindi possono essere tesserati tra i “formati” ma non sono arruolabili in Nazionale perché privi della cittadinanza. Si, certo: servirebbe almeno lo ius soli sportivo, però con questi chiari di luna all’orizzonte è davvero difficile che si possa immaginare una simile volontà politica e il calcio, così come molti altri sport, non potrà che rimanere penalizzato. A conferma ancora una volta di come sia una perfetta cartina di tornasole per verificare lo stato di un Paese: se il Paese non è al passo con il mutare dei tempi, neanche il calcio può farcela da solo.

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Fonte: http://www.tuttosport.com/rss/calcio/serie-a


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