Al momento di fissare lo slot orario di Udinese-Atalanta, in Lega calcio non potevano immaginare che il big-match della giornata sarebbe caduto di domenica alle 15, orario ritenuto di seconda fascia. Eppure, seguendo la dottrina breriana, per la quale è la somma dei punti delle squadre a fissare la gerarchia dei match, a Udine va in scena nel pomeriggio una sfida superiore a Milan-Juve di ieri. È infatti prima contro terza in classifica. La sfida bianconerazzurra, nell’ottobre 2022, non indica più evidentemente Juventus-Inter.
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Eppure nulla accade per caso. Da anni Udinese e Atalanta hanno dimostrato di lavorare benissimo. E la loro classifica, per quanto sorprendente, ha motivazioni solide. I bergamaschi sono stati clienti fissi dell’Europa. Per tre stagioni, con il demiurgo Gasperini, hanno occupato il terzo gradino del campionato, sempre con il migliore attacco. Dopo l’ultima, deludente annata, adesso la Dea è per la prima volta al comando. Proprio Gasp ha istruito per anni tutti con la stessa frase: “Fin quando non saremo primi, non potrò rispondervi se l’Atalanta sia da scudetto”. Ora c’è e ora deve rispondere. Aggiungiamo che il club dei Percassi, nel frattempo passato in ampia parte in mani americane, da molto tempo costituisce un modello in tutto e per tutto: ha un centro sportivo meraviglioso come Zingonia, un impianto di respiro europeo, ha prodotto centinaia di milioni di plusvalenze (vere), ha rifatto lo stadio e ha un management di primissimo livello, ben rappresentato da Umberto Marino. Negli ultimi 6 esercizi, l’Atalanta ha chiuso in positivo: +51,7 nel 2020, +35,1 milioni nel 2021. Il patrimonio netto è passato in un lustro da 8 a 78 milioni. La mancata Europa di maggio peserà sul prossimo bilancio, ovvio, ma a Bergamo il monte-ingaggi è attestato su parte destra della classifica e ciò mette al riparo dagli anni di magra. Ennesima lezione.
Dall’altro lato, l’Udinese è un modello non meno virtuoso. Anche qui plusvalenze e valorizzazioni straordinarie, con un elenco infinito di giocatori presi e riceduti. Con l’ausilio di Andrea Carnevale, è stato Gino Pozzo a costruire un esempio di club di successo. Tra i proprietari della Serie A, Gino è probabilmente il più competente in materia calcistica. Tra Londra, dove vive per il Watford, Udine e il resto del mondo, nel quale una rete di una ventina di persone va a caccia dei migliori talenti, Pozzo junior ha fatto del calcio un’entrata, non una rimessa. Pure qui, esiste uno stadio di proprietà, ci sono strutture di lavoro all’avanguardia e una società ottimamente guidata dal Pierpaolo Marino. Solo negli ultimi tre anni, a Udine sono stati lanciati Tudor, Gotti, Cioffi, Sottil. Prima Guidolin, De Canio, Spalletti. Palestra anche di allenatori.
Andrea Agnelli, in un’accorata lettera inviata ai soci dei giorni scorsi, ha rimarcato come l’attuale quadro determini «l’insostenibilità finanziaria per i club, nonostante la storica crescita dei ricavi». Una spiegazione più estesa al rosso da 254 milioni che l’assemblea si appresta ad approvare, e che supera di pochissimo la perdita record dell’Inter di due anni fa. Le locomotive del calcio soffrono. Saremmo ipocriti a pensare che le realtà siano le medesime, e che fare calcio con la pressione di una metropoli sia uguale a farlo nel maggiore comfort della provincia, ma Udinese e Atalanta indicano una strada comunque valida, sostenibile, alternativa. Prima che scendano in campo tra poche ore, in qualche maniera hanno già vinto il loro campionato.