Le ultime settimane a tinte bianconere non sono state scevre di sorprese. Dal filotto che ha dato impulso alla rimonta al recente capitombolo casalingo contro il Monza, in campo. Dalla revocazione della (doppia) sentenza d’assoluzione sul caso plusvalenze alle pesanti sanzioni in merito, fuori dal campo. Scenari che, sulla base di un solido storico in tema di procedimenti sul fronte plusvalenze, quasi nessuno pensava potessero concretizzarsi. Quasi, appunto. Perché le ultime evoluzioni della giustizia sportiva, al pari delle motivazioni pubblicate dalla Corte Federale d’Appello riguardo il -15 inflitto alla Juventus, non hanno fatto trasalire Piero Sandulli. Professore e avvocato, ma soprattutto – in questo frangente – storico presidente proprio della Corte Sportiva d’Appello della Federcalcio. Una figura che, nel corso della propria carriera, ha incrociato a più riprese il club bianconero. Ai tempi di Calciopoli, nell’ormai lontano eppure ancora vivido 2006, così come nel ben più recente 2020, quando si era espresso in favore del 3-0 a tavolino sul Napoli in occasione della famosa sfida cui i partenopei non si erano presentati, prima che il Collegio di Garanzia dello Sport ribaltasse il verdetto. Che possa oggi ripetersi l’altalena di responsi non è dato sapere, ma anche nella circostanza attuale sarà portato in fondo il medesimo iter. Secondo una successione di passaggi imprevista per molti, appunto, ma non per lo stesso Sandulli.
Piero Sandulli, perché non l’ha sorpresa la revocazione delle sentenze sul caso plusvalenze?
«Perché da tempo, al pari di diversi altri colleghi, sostengo che il contenitore delle società quotate in Borsa mal si sposi con le società sportive. E la fattispecie attuale della Juventus, una volta di più, lo testimonia».
In che senso?
«Nel senso che la revocazione prima e la sentenza poi si sono basati sugli elementi emersi nel corso degli accertamenti prodotti dalla Consob, che per definizione può naturalmente vigilare sui soli club presenti a Piazza Affari. A tal proposito, in tutta sincerità, mi sarei aspettato delle evoluzioni sull’argomento».
Cioé?
«Confidavo che la recente riforma dello sport si occupasse di questo tema, che al momento invece rimane come vulnus al sistema. Da qui nasce la sanzione ai danni della Juventus e la mancata sanzione nei confronti di tutte le altre società coinvolte».
Ma questo non genera una disparità di giudizio all’interno del sistema calcio?
«Non la reputo una disparità, ma un trattamento diverso sulla base di scelte pregresse diverse. Questa condizione, di fatto, viene accettata dal club nel momento in cui entra in Borsa. E infatti si è arrivati alla sentenza attuale proprio sulla base dell’indagine Consob, che ha portato alla sussistenza di fatti inediti rispetto allo scorso mese di aprile, quando la Juventus era stata assolta».
Si è fatto un’idea, invece, dei possibili vizi di forma evidenziati dai legali bianconeri e che saranno sottoposti al Collegio di Garanzia dello Sport?
«Il campo è quello dei tecnicismi, sui quali non ho modo di esprimermi. Tutt’al più è singolare che non ci sia una sola riga sulla quantificazione della richiesta di punti di penalizzazione e sulla diversa metratura adottata dalla Corte».
Il principio seguito deve in ogni caso essere quello dell’afflittività?
«Qualora sia possibile sì, altrimenti la sanzione viene rimandata alla stagione successiva. In questo frangente, la penalizzazione è stata misurata sulla classifica in essere al momento, benché non si possa avere la certezza del fatto che risulti decisiva al termine del campionato».
A proposito: una penalizzazione comminata a stagione in corso, su cui pendono ulteriori gradi di giudizio, non rischia di creare imbarazzi come suggerito anche da De Siervo nei giorni scorsi?
«La giustizia sportiva ha il dovere di muoversi entro termini contingentati. In virtù di questa caratteristica, per esempio, ai tempi di Calciopoli la Camera di Conciliazione e Arbitrato del Coni era intervenuta già nell’ottobre 2006, mentre la giustizia ordinaria è arrivata ad analogo grado nel 2015».