È Giampiero Ventura ad aprire la settimana che porta alla finale play off di serie B Cagliari-Bari: giovedì alla Unipol Domus, domenica al San Nicola, sempre alle 20.30 per sapere l’ultima promossa. Il 75enne ex ct dell’Italia, che due anni fa ha annunciato il suo addio alla panchina, conosce le due piazze come probabilmente nessun altro. Parla del match senza alcun freno inibitore, anche perché ormai fuori dal grande barnum pallonaro che spesso impone mezze frasi per non scatenare le reazioni dei più permalosi. In rossoblù Ventura è stato per quattro stagioni vincendo anche un campionato cadetto, resistendo come pochi al ciclone Cellino. In biancorosso, dove ereditò la squadra portata in alto da Antonio Conte, firmò un meraviglioso decimo posto in serie A, giocando un calcio rivoluzionario con il 4-2-4 già impostato l’anno prima a Pisa.
Ventura, che doppia finale dobbiamo aspettarci?
«Godibile, estremamente godibile. Il Cagliari per organico avrebbe dovuto accompagnare subito il Genoa in serie A quindi non mi stupisce che sia in questa finale. Il Bari è la sorpresa del campionato perché riuscire a chiudere terzo da neopromosso è un risultato clamoroso, avendo tra l’altro insidiato anche il Genoa per il secondo. Questo terzo posto consentirebbe ai pugliesi di essere promossi anche con due pareggi, eventualità da non trascurare in una sfida così equilibrata e considerando che il ritorno verrà giocato di fronte a oltre 50.000 spettatori».
Il fattore campo può spostare gli equilibri?
«Io ormai abito a Bari, ero allo stadio per la partita con il Sudtirol e mi ha procurato un piacere incredibile vivere da tifoso ciò che quando ero allenatore vivevo dal campo. Non mi vergogno a dire che ho anche esultato al gol di Benedetti. Non è però solo una questione di tifo, di spinta che arriva dagli spalti, ma di spirito che ho visto nei ragazzi di Mignani. Hanno lo spirito giusto per la serie B, il fuoco dentro, la determinazione feroce. Tutti dicono che questa finale verrà vinta dal Cagliari, io mi limito a dire che non sarà così scontato. Fare il doppio salto per il Bari vorrebbe dire rendere straordinaria una stagione che è stata già bella. E certi treni non passano spesso».
Lei in un’intervista d’inizio stagione indicò in Caprile e Cheddira due sicuri protagonisti e così è stato. Ha acquisito doti di preveggenza?
«Beh insomma, qualche partita di calcio l’ho vista (ride, nde) e mi è bastato dare un occhio alle prime gare di Caprile per accorgermi che siamo di fronte a un giocatore importante e quando dico importante intendo con la “i” maiuscola. Non so ancora se da Nazionale, ma è destinato a grandi palcoscenici, sicuramente alla Serie A. Oltre alla qualità sta dimostrando tanta personalità. Un conto è difendere i pali della Pro Patria, un altro quelli del Bari davanti a 50.000 persone. Per lui non fa differenza alcuna ed è la sua forza. Cheddira aveva dentro tanta fame e voglia di riscatto: nel girone di andata è stato il trascinatore del Bari, una leggera flessione ci stava dopo che ha fatto il Mondiale con il Marocco, ma in questo finale è tornato un terminale formidabile; per come attacca la profondità è di alto livello».
Dall’altra parte però c’è Lapadula, che ha skills anche superiori e variegate rispetto a Cheddira, non crede?
«Lapadula in serie B è un extralusso. Basti pensare che uno come Pavoletti deve stare in panchina. Ma penso anche a Nandez: l’estate scorsa lo volevano tutti, l’Inter lo insegue da due anni, lui è rimasto sull’isola e nel vedere l’altra sera Parma-Cagliari ho visto anche in lui lo spirito che serve in serie B abbinato a una qualità da serie A».
Ranieri ha solo tre anni in meno di lei ed è ancora lì a combattere, a sporcarsi le mani in serie B, a cercare l’ennesimo trionfo di una carriera infinita. E’ la rivincita verso chi dice che la vostra generazione di allenatori non ha più nulla da dare?
«Il mio mantra è che nel calcio le idee non hanno età. Se uno ha capacità può metterle in pratica in qualsiasi momento. Ci sono allenatori giovani che sono già anziani e anziani che sono ancora giovani. Claudio ha fatto un grande lavoro, prendendo il Cagliari fuori dai playoff e portandolo fino a questa finale».
Lei è più legato a Cagliari o Bari?
«I quattro anni di Cagliari sono stati straordinari. Con Cellino ci siamo divertiti. Mi spiace ora sia retrocesso in C con il Brescia. Il segreto per andarci d’accordo? Essere sempre sinceri, se gli vendi fumo se ne accorge subito. Sono arrivato che l’ambiente era depresso, abbiamo vinto e fatto plusvalenze: lanciando un giovane Zebina pagato 600 milioni e venduto alla Roma per 20 miliardi, mandando O’Neill alla Juve, rilanciando Muzzi. Ma sono amico anche di Giulini. Bari ormai è la mia città e posso dire di essere un tifoso di questa squadra. Mi ha adottato, naturalizzato, quel calcio offensivo che proposi con gli esterni di centrocampo sulla linea dei due attaccanti è un bellissimo ricordo, lo stadio era sempre pieno, la gente si spellava le mani».