Forse il mondo è davvero troppo piccolo per alcune persone. E sì, perché se negli ultimi anni hai allenato e vissuto in Svizzera (Chiasso, Bellinzona e Locarno), Grecia a Pyrgos, Olanda a Rotterdam, Repubblica Ceca a Varnsdorv, Lituania ad Alytus, Slovacchia a Dolny Kubin, Repubblica Democratica del Congo a Kinshasa e in Mongolia ad Ulanbaatar, senza dimenticare l’esperienza al Torneo di Viareggio nel 2017 alla guida dei nigeriani di Port Arcur, ma hai ancora voglia di viaggiare, vedere posti nuovi, salire e scendere dagli aerei, vuol dire proprio che il mondo in cui abitiamo non ti basta, ti va stretto. E che te ne servirebbe un altro.
È questo il caso del sanmarinese (ma di scuola calcistica italiana) Marco Ragini, allenatore Uefa Pro. Ho avuto modo di intervistare Ragini cinque anni fa, proprio su Tuttosport: reduce dall’esperienza in Mongolia, alla guida dell’Fc Ulaanbaatar, era arrivato secondo a un niente di distanza dalla vincitrice del campionato (l’Erchim), dopo un avvincente duello durato tutto il campionato. Magra consolazione, il riconoscimento con la premiazione come miglior allenatore del 2018 per il campionato. L’obiettivo di allora era quello di tornare ad allenare in Europa o in Italia.
Obiettivo raggiunto?
«Solo in parte».
In che senso?
«Dopo la Mongolia sono stato in Portogallo, dove ho ricoperto il ruolo di allenatore del Lusitano e poi in Malesia, ad allenare il Kelantan. In mezzo a queste due esperienze, ho fatto, per qualche mese, il direttore tecnico e l’allenatore a casa mia, a San Marino, con il Tre Fiori, vincendo la Coppa Nazionale e portando il club in Europa».
Niente Italia, al momento.
«Negli ultimi due anni ho avuto contatti con club di Lega Pro soprattutto al sud, Puglia, Calabria e Sicilia, anche se alla fine non si è concretizzato nulla. Dall’estero, invece, ho ricevuto offerte più concrete e stimolanti».
Che esperienze sono state quelle in Portogallo e Malesia?
«In verità, due situazioni molto diverse: al Lusitano, in terza serie portoghese, c’erano calciatori dotati tecnicamente e con mentalità prettamente offensiva. È stata una gioia lavorare con loro e per loro! Le strutture, poi, erano ottime e l’ambiente perfetto per fare calcio ad un certo livello».
In Malesia, al Kelantan?
«Abbiamo fatto un ottimo campionato, in un continuo crescendo, considerando poi che la squadra dell’anno prima era stata smantellata del tutto per un cambio totale di proprietà e che mi è stata data in gestione la squadra più giovane del campionato con un gap da colmare in brevissimo tempo, da un punto di vista tattico ed esperienziale».
E veniamo all’oggi.
«Sono il direttore tecnico della Juventus Academy di Dushanbe, in Tagikistan. Sono arrivato qui lo scorso aprile ed ho firmato un contratto di un anno, anche se mi è stato già proposto di allungarlo, dato che i proprietari dell’Accademia vorrebbero vincolarmi con un progetto triennale. L’Asia mi affascina ed è per questo motivo che ho preferito questa offerta ad altre. Mi stimola in particolare la continua sfida giornaliera nel cercare di portare la mia esperienza calcistica al servizio di un popolo che è desideroso di apprendere il più possibile le nostre».
Che realtà sta vivendo?
«Dirigo un’Accademia di circa 650 ragazzi in una struttura fantastica, totalmente hi-tech, dove non manca nulla (dalla mensa al barbiere, dal centro fitness con Spa al centro medico di riabilitazione/massaggi, dal bar con zona relax con vista panoramica sul campo principale indoor, al ristorante italiano) ed è all’avanguardia sotto tutti i punti di vista: ci puoi vivere ventiquattro ore al giorno. La maggior parte degli istruttori sono del luogo, ma l’Accademia presto potrebbe aprire ad allenatori europei e italiani. Al momento, dato che la scuola è ferma, abbiamo tante sessioni di allenamento durante la giornata, dalle 8 del mattino fino le 21 di sera, 7 giorni su 7 non stop».
Il brand Juventus arriva lontano.
«È tutto molto sentito da queste parti, di base c’è molta passione, ma vedo che ogni giorno aumenta tutto a livello esponenziale: l’attenzione per la squadra di Allegri e dei suoi campioni e, più in generale, per la nostra Serie A è sempre molto forte e gli stessi media del campionato italiano in televisione ne rafforza l’interesse del popolo sportivo tagiko».
Come vede il prossimo futuro?
«Da un punto di vista sportivo, voglio che questo progetto cresca sempre di più, e che la mia metodologia porti il più veloce possibile i suoi frutti: presto potremo avere uno o più ragazzi tagiki che calcano i campi italiani o europei, perché no?».
Da un punto di vista personale?
«Sono fresco di nomina come consulente tecnico per Federazione Calcio del Tagikistan (Fft) e delle Nazionali (la dicitura corretta è Direttore Tecnico e Tecnichal Advisor). Un ruolo interessante considerando che già a gennaio la Nazionale maggiore avrà impegni importanti nell’ambito dell’Asian Cup contro avversari come Cina, Qatar e Libano».