Potter, il calcio
Un mese dopo, cioé giusto un anno fa, il Chelsea pagava al Brighton oltre 20 milioni di euro di clausola rescissoria per portarlo a Stamford Bridge al posto di Thomas Tuchel, licenziato su due piedi dopo una brutta sconfitta in Champions League a Zagabria. Era la Terra Promessa, era il naturale approdo per un allenatore che all’ultima partita con il Brighton aveva annientato il Leicester City (5-2) ed era diventato popolare in maniera addirittura esagerata, quasi una menzione alla moda per far parte di una cerchia che sa: se non scrivevi o dicevi ‘Potter è bravissimo’ non eri nessuno, e pazienza se quando qualcuno ti chiedeva di spiegargli il perché balbettavi tesi copia-incolla.
Potter era IL CALCIO, e lo era sul serio, per la brillantezza del gioco, per la capacità di sorprendere l’avversario («non ci stiamo capendo niente» erano state le parole di un giocatore del Newcastle dopo un formidabile primo tempo del Brighton) e la varietà delle posizioni in campo: ma a dodici mesi di distanza di lui non si parla più, dopo l’esonero del 2 aprile, 11 sconfitte in 31 partite. Sparito: non solo dalla memoria del Chelsea ma pure da quella del Brighton, considerando che il suo successore Roberto De Zerbi al primo colpo ha migliorato il più alto piazzamento in classifica del club, dal nono posto potteriano del 2021-22 al sesto della scorsa stagione.
Esaltato a livello di tormentone prima, dimenticato ora: così come non aveva mai né chiesto né corteggiato la fama, non ha neppure voluto l’oblio, ma oblio è stato, anche se il suo nome è comparso tra i candidati a varie panchine, compresa quella del Leicester City, e prima o poi tornerà fuori perché il talento, e tanto, c’è.
L’esperienza al Chelsea
Al Chelsea è andata male per molti motivi, tra cui una rosa con troppi giocatori a fine corsa, poi infatti ceduti. Anzi una rosa con troppi giocatori, punto. Alcuni di loro erano costretti a cambiarsi nei corridoi del centro tecnico di Cobham, situazione nella quale era difficile fare gruppo e controllare emozioni, persino per uno che a suo tempo aveva ottenuto un master in leadership che prevedeva corsi specifici per la gestione intelligente delle emozioni, o la gestione emotiva dell’intelligenza. E dire che già da giocatore aveva dovuto egli stesso affrontare situazioni non facili, comprese le prese in giro quando era andato allo Stoke City, dunque era diventato un… Potter (soprannome del club) e l’imbarazzo della prima frase sussurrata alla moglie Rachel, il 31 maggio 2003, al ricevimento dopo il matrimonio: «Cara, ho appena saputo di essere disoccupato». Si era dato agli studi e aveva intrapreso un percorso inedito e curioso, solo in parte per scelta e solo nella fase finale, a Brighton, coronato da consensi unanimi: andato nel 2010 in Svezia, all’Östersunds di quarta serie, su segnalazione di un amico che era assistente allenatore dello Swansea City e contro l’Östersunds aveva giocato in amichevole, approfittando della situazione disperata, in cui qualsiasi metodo avrebbe costituito una scossa, aveva coinvolto i suoi in progetti a carattere musicale e teatrale, trovando un’armonia che aveva portato a tre promozioni e un arrivo ai sedicesimi di finale di Europa League.
Eppure, al Chelsea il passato si è dissolto: eccessivo cambio di moduli e giocatori (32 in quelle 31 partite), allenamenti con 11 contro 11 in un campo e 9 contro 9 in un campo adiacente per via dell’affollamento di cui sopra, frecciatine di alcuni dei giocatori, che alle sue spalle lo chiamavano ‘Harry’ o ‘Hogwarts’, pur sapendo che tutto ciò sarebbe prima o poi arrivato alle sue orecchie. Al Chelsea, da anni, il potere è dei calciatori più che degli allenatori, e anche Potter lo ha scoperto. Tanto che, chiusa l’esperienza a Londra con una robustissima buonuscita, era volato in vacanza, a liberarsi la mente e sputare il veleno accumulato, compreso quello delle minacce di morte arrivate alla famiglia.