Torino, la giornata di Vanoli
A Superga, dopo il sopralluogo di lunedì al Fila e poi allo stadio Grande Torino e il prolungato summit di mercato di ieri mattina con Vagnati e Moretti, in sede a due passi da piazza Castello, Vanoli sale nel pomeriggio con lo stato d’animo migliore: l’umiltà, la semplicità, la modestia di chi vuole prima di tutto respirare, apprendere, scoprire, immedesimarsi. Capire. Lo accompagnano lo staff tecnico e la dirigenza del Torino: il dt col suo braccio destro, il direttore operativo Barile e gli uomini della comunicazione. Alle 16 le automobili parcheggiano nel piazzale e Vanoli scende con un’espressione di stupore: «Questa basilica è meravigliosa». Estrae dalla tasca il telefonino, scatta una fotografia. Il capolavoro di Filippo Juvarra attraversa la prospettiva, si distende nell’azzurro. «È la mia prima volta. L’avevo vista tante volte in foto, ma essere qui, di persona, è tutta un’altra cosa». Un passo dopo l’altro lungo il camminamento che si distende su un fianco della basilica. Gli fa strada Vagnati. Vanoli cambia man mano espressione, la sua è la curiosità serissima del neofita calibrata sul desiderio di compiere subito un gesto da Toro e sulla necessità di bussare con educazione a una porta per entrare nel suo nuovo mondo. Così, quando si trova sotto la sfilata di immagini dei 31 caduti, decide di arrestarsi.
Vanoli a Superga
Vagnati comincia a illustrargli i volti, Vanoli è colpito, pone domande, il responsabile dell’ufficio stampa Venera diventa il cicerone di questo viaggio di 75 anni. Poco prima dell’ultima curva a gomito Vanoli scopre lo striscione appeso al terrapieno da sempre: «La maglia, il nostro cuore. Superga, la nostra anima». Clic, un’altra foto. La lapide. «Ecco. Proprio qui sono caduti». Di nuovo uno scatto col telefonino, per provare a cristallizzare anche i sentimenti. Si fa un segno di croce, si avvicina all’altare, sfiora i marmi incisi, osserva la gigantografia del Grande Torino e le sciarpe lasciate da chissà quanti tifosi di chissà quante altre squadre. Resta in silenzio, si aggira, tutti guardano lui che guarda, poi torna indietro, si appoggia alla balaustra, pone nuove domande, gli spiegano la dinamica, l’ultima virata dell’aereo a sinistra nella tempesta, lo schianto, la tragica, terribile scena vista dai primi soccorritori. E le processioni ogni 4 maggio, la lettura dei nomi, la resistenza del popolo granata, un credo. Era dal giugno 2016 che un allenatore del Torino non sceglieva di salire subito a Superga, a brevissima distanza temporale dall’annuncio del suo ingaggio: Mihajlovic, 8 anni fa. «Torniamo percorrendo l’altro camminamento», gli dice Vagnati, indicandogli il percorso. Peripatetico, Vanoli: come un discepolo di Aristotele nei viali del liceo di Atene, dove il filosofo insegnava passeggiando. Il tecnico continua a chiedere informazioni sulla storia del Grande Torino, sui giocatori. Un cronista aveva già provato a domandargli una testimonianza, sotto la lapide: emozionato? «Certo che lo sono. Come si fa a non emozionarsi, qui?». E sembra quasi che la voce un po’ gli tremi.
Vanoli, tra preghiere e offerte
Poi, quando ormai è tornato fin quasi davanti alla basilica, si parla di Ossola, di Varese come lui: «Io ho anche giocato nello stadio che la nostra città gli ha dedicato, conosco bene la sua storia». Esprime il desiderio di entrare in chiesa, allora. Si arresta davanti a una cappella laterale sulla destra, l’altare della natività di Maria Vergine. Estrae dal portafoglio una banconota, la deposita nella cassetta della beneficenza, poi prende due piccole candele, le accende con lentezza, le posa su quel lastrone di metallo sotto la Madonna, le fiamme si attorcigliano tra loro, lui prega, si segna di nuovo. C’è molto di religioso in questa visita, in questa salita anche nel mistero dove il sacro e il profano si mescolano sempre, inevitabilmente. Il suo vice Godinho esce per ultimo dalla basilica, dopo aver letto altri pannelli informativi: «Io sono nato vicino a Lisbona, ho anche lavorato per il Benfica, del Grande Torino conosco bene la storia fin da ragazzo, anche per noi portoghesi è un mito, è come se la imparassimo a scuola questa tragica leggenda, viene tramandata alle più giovani generazioni. Ricordo anche quando una delegazione del Torino venne a Lisbona, l’ultima volta»: sempre nel 2016, sempre con Mihajlovic, un mese dopo quella sua prima salita sul colle. «E tante volte sono stato nel museo del Benfica, dove un’ampia parte è dedicata proprio a quei poveri ragazzi granata».
Vanoli, abbassare il capo con rispetto e umiltà
L’accensione di un amore, vien da scrivere, ripensando a quelle candele cui ha dato luce cioè vita Vanoli. Resta nel suo cuore un voto. E negli animi di tutti l’ammirazione per la semplicità con cui il tecnico si è accostato all’alfa e all’omega del Torino, che quassù ha sempre l’ineludibile bisogno esistenziale di incarnarsi in un qualche Toro. Ad accendere ceri, idealmente, saranno anche i tifosi tra autostrade di nuove speranze e i soliti tornanti del cairismo, ripidi e scivolosi come quelli che dapprima conducono al cielo di Superga e poi ti riportano in città: terra terra, se non sai immergerti, respirare, comprendere, abbassare il capo con rispetto e umiltà, far tesoro. E seminare, dopo, facendo squadra. «Remiamo tutti insieme». Uomo sicuramente di buona volontà, questo allenatore fideisticamente peripatetico.