Barcellona, 4 luglio 2024. La Spagna si sta preparando a giocare i quarti di finale dell’Europeo contro i padroni di casa della Germania. In tv, sui giornali e per le strade della città non si parla d’altro. Joan Monfort, celebre fotografo catalano, è da poco rientrato a casa dopo una giornata di lavoro qualunque. Tempo di cenare, rilassarsi davanti a un buon libro per poi crollare nel letto. Alle 2 di notte squilla il telefono, Monfort risponde: a cercarlo è un collega della rivista “Sport”. «Joan, scusami se ti disturbo a quest’ora, ma è troppo importante…C’è questa foto di Messi con in braccio un bebè che sta girando sui social. Per caso l’hai scattata tu?». Monfort, ancora mezzo addormentato, si stropiccia gli occhi per poi esaminare gli scatti: «Sì, se non ricordo male dovrebbe essere un servizio fotografico che ho realizzato per il Barca nel 2007. Che c’è di strano?». «Joan, non so bene come dirtelo…Quel bambino in braccio a Messi è Lamine Yamal».
La benedizione di Messi
I più cinici non potranno che definirla un’incredibile coincidenza. E forse avranno anche ragione. Ma è molto più semplice, per non dire romantico, credere che la storia di ognuno di noi faccia parte di un’immensa e sconfinata sceneggiatura, scritta e pensata da un animo folle, irrazionale, che si diverte a intrecciare i destini come fossero semplici fili. Quel pomeriggio, la strada del più forte giocatore della storia del Barca – e forse di tutti i tempi – si è incrociata con quella di un ragazzo spagnolo che, per qualità, velocità di pensiero e atteggiamento, ha tutte le carte in regola per poter provare a ereditarne lo scettro di protagonista. Non vi è nulla di blasfemo nel definirlo un vero e proprio battesimo, anche se a detta del papà di Yamal, sarebbe stato suo figlio a benedire il roseo cammino di Leo Messi. «Non riesco a spiegarmi quello che è successo – commenta Monfort – è una benedizione, un disegno degli dei, una congiuntura astrale. Il Barca, a quei tempi, ci aveva commissionato la realizzazione di un calendario di beneficenza in collaborazione con l’Unicef. Dovevamo ritrarre 12 giocatori – uno per mese – assieme a bimbi provenienti da contesti sociali problematici. Per la foto con Messi fecero una sorta di casting nel quartiere di Rocafonda, a Mataró, in Catalogna. A vincere, un po’ per caso, fu la famiglia di Lamine. Leo all’epoca non era ancora diventato Messi. Era un ragazzo timido, di vent’anni, alla sua seconda stagione da titolare. Dovevo trovare un modo per riuscire a farlo interagire spontaneamente con un bimbo di appena 5 mesi. Assorto nei miei pensieri, stavo facendo il bagnetto a mia figlia, da lì l’idea: “Perché non far fare a Messi la stessa cosa con quel bimbo?”. E così è stato. Un colpo di fortuna per me: se avesse posato con Puyol, Iniesta o qualsiasi altro campione di quel Barca, non sarebbe stata la stessa cosa…».
Il marcatore più giovane degli Europei
Nessuno poteva immaginare che quel neonato, 16 anni più tardi, sarebbe diventato il più giovane marcatore della storia degli Europei. Con le sue prodezze, il gioiello blaugrana – sulla cui testa pende una clausola rescissoria da 1 miliardo di euro – ha incantato il mondo, trascinando la Spagna alla vittoria dell’Europeo. Una cavalcata speculare a quella dell’Argentina di Messi, impegnata nella Copa America vinta in finale contro la Colombia. La pulce in lacrime per quello che potrebbe essere l’ultimo trofeo della carriera; Yamal per la sua prima grande soddisfazione da professionista. Strade diverse, destini affini. O almeno, così sperano in Catalogna: «Uno spettacolo vedere Messi anche solo passeggiare per il campo – continua Monfort -. Era come Mozart, un genio senza eguali, unico, il più forte di tutti. Difficile pensare che qualcuno possa avvicinarsi alla sua grandezza. Detto questo, Lamine è un giocatore straordinario e dal grande prospetto, diventerà una stella mondiale. Non teme niente e nessuno, gioca con la stessa spensieratezza e la stessa gioia che appartiene ai più piccoli, a chi per la prima volta si affaccia a questo sport. Più che Messi, mi ricorda Ronaldinho. Quando il brasiliano arrivò al Barcellona, il club stava vivendo un momento complicato. Con il suo sorriso e la sua classe è riuscito a invertire il trend, riportando il Barca dove meritava. Chissà che Lamine non possa fare lo stesso…».
La maglia numero 19
E poi c’è quella maglia, la “diecinueve”, dai cui tessuti traspira l’aura del fenomeno di Rosario, ai tempi scelta dall’argentino perché per poter indossare la 10 occorreva prima mostrare al mondo cosa fosse in grado di fare con quel sinistro magico. Yamal, in quello che potrebbe essere l’anno della sua consacrazione, giocherà proprio con quella camiseta lì, la numero 19: «Una scelta più che intelligente – continua Monfort – che dimostra la sua indiscutibile maturità come uomo e come calciatore. La 10, in un club come il Barcellona, rischierebbe di sottoporlo a pressioni difficili da gestire. Non ce n’è bisogno. Questo gesto potrà aiutarlo a crescere ancora di più. Spero vinca il Golden Boy, se lo merita più di chiunque altro per il calcio espresso e per il contesto da cui è venuto fuori lavorando ogni giorno. Se quest’anno non dovesse andare a lui, sarebbe una vera ingiustizia».