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Mai più rapporti tossici con gli ultras: i club reagiscano

Mai più richieste, poi esaudite, di migliaia di biglietti per gare importanti quando il tifoso comune fa fatica ad acquistare un solo tagliando.

Mai più incontri tra top player o dirigenti societari e capi delle curve per discutere delle posizioni contrattuali di atleti e tecnici e dei loro possibili trasferimenti. Mai più rapporti di lavoro in favore di esponenti di famiglie “a rischio”.

Mai più soffiate a favore di ultras circa indagini dell’Autorità giudiziaria nei confronti di queste frange.

Mai più affidamenti illegali per gestire parcheggi o vendere birre. Mai più incontri riservati nei bar, cene inopportune.

Mai più. Occorre voltare pagina, senza se e senza ma e l’occasione non può che essere questa. Lo Stato deve fare la sua parte ma lo sport, il calcio in primis, è chiamato a fronteggiare una piaga che ogni giorno disvela scenari sempre più inquietanti, derive inimmaginabili.

Il danno di immagine, reputazionale, tecnico, competitivo ed economico, non solo nel nostro paese ma anche nel resto del mondo è enorme. Non si tratta, occorre che il sistema lo comprenda una volta per tutte, di episodi isolati, di quattro cani sciolti all’arrembaggio di facili diligenze, di fenomeni marginali o marginalizzati.

Oggi si parla di Milan e Inter, ma nelle categorie inferiori pensiamo che nulla di tutto questo stia accadendo? In piazze dove la criminalità organizzata controlla imprese, porti, aeroporti, uffici pubblici e appalti, vogliamo credere che il pallone costituisca un’oasi felice e non ci siano ricatti, soprusi, prevaricazioni, commistioni e paura?

Difficile da sostenere. I due mondi sono e devono rimanere tra loro impermeabili. I Club, con i calciatori, i dirigenti e lo staff, da una parte, la tifoseria, organizzata e individuale, dall’altra. Ognuno ricopra e reciti il suo ruolo, nel rispetto dell’altro e delle regole. Le norme federali attualmente in vigore ci consegnano una riflessione: se la Direzione Distrettuale Antimafia e la Procura di Milano si stanno occupando da tempo di fatti di estrema gravità, sempre tutti da dimostrare, sia ben chiaro, fermo il principio di non colpevolezza di tutti i protagonisti nominati, occorre premetterlo, probabilmente anche l’impianto normativo attualmente in vigore nell’ordinamento calcistico per la prevenzione di fatti violenti merita qualche riflessione. Ammende e inibizioni, come pena base, salvo i casi più gravi nei quali la Giustizia sportiva può infliggere pene maggiori, forse non sono più attuali e non rappresentano misure dotate di forza deterrente.

I codici etici che valgono per i giocatori, ma anche per i dirigenti e gli allenatori, sono in grado di contrastare le pesanti infiltrazioni di cui leggiamo ogni giorno sulle prime pagine dei giornali?

Dettagliare meglio il Codice di giustizia sul punto ed inasprire le punizioni, rendere impenetrabile il confine tra i due mondi, introdurre l’obbligo di denuncia per chi, da tesserato, sa e vede comportamenti antidoverosi di terzi, come per le scommesse e gli illeciti sportivi, rappresentano solo alcuni possibili correttivi per evitare ulteriori degenerazioni.

Non è certo questa la sede per stabilire chi sia l’assassino e chi la vittima, chi l’imputato e chi la persona offesa, ma nessuno si deve offendere se si parla di piaga, di malaffare e di complicità, manager, dirigenti, presidenti e addetti ai lavori in testa, nessuno si chiami fuori, nessuno giri la testa dall’altra parte. Il calcio italiano è chiamato ad un’altra prova fondamentale in nome della pulizia, della tutela dei valori, veri, dello sport, e dei tifosi virtuosi, specie i giovani. Non dimentichiamoci che tristi pagine come quella del 22 aprile 2012, allorquando l’intera squadra del Genoa si spogliò durante la partita con il Siena e ripose le magliette sotto la Gradinata nord, potrebbero anche tornare.

*avvocato, esperto di giustizia sportiva.



Fonte: http://www.corrieredellosport.it/rss/calcio/serie-a

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