«Como-Napoli è la tipica partita che può far girare tutta la stagione». Il Como ha vinto, Cesc Fabregas ha un po’ ridimensionato dopo la partita l’affermazione del giorno precedente. Ma l’effetto non cambia: l’entusiasmo in città, che già era ai massimi livello quando la squadra giocava bene ma non vinceva mai, dopo due vittorie consecutive (ottenute contro due grandi squadre del calcio italiano), ora è davvero traboccante. Non succedeva da secoli: la gente al bar è tornata a parlare del Como, lo stadio – piccolo e vecchio, va detto – è sempre stracolmo e ha una delle percentuali di riempimento più alte in tutta la Serie A. Facile, ma non scontato, dopo 21 anni passati per lo più in Serie C e in D.
Il “guardiolismo” di Fabregas
Il Como ha vinto, il Como da tempo dimostra di poter giocare – anche con una certa sfacciataggine – alla pari di squadroni. Li ha messi tutti in difficoltà nell’ultimo mese e mezzo. Hanno sudato freddo Atalanta, Milan e Juventus, capaci di vincere solo nel finale e sempre con margini risicati. È il Como plasmato da Cesc Fabregas a sua immagine e somiglianza. Figlio del più sfrenato “guardiolismo”, il tecnico catalano ci mette del suo. Inventandosi anche scelte coraggiose. Contro Atalanta e Fiorentina, per esempio, si è inventato un tridente atipico, senza una punta di ruolo, con Strefezza e Diao larghi e Paz falso nove, a far ammattire i difensori, spesso attirati su di sé a beneficio di Diao, grande protagonista nell’ultimo periodo. Non contento, a Firenze (con replica al Sinigaglia contro il Napoli) Fabregas ha tirato fuori dal cilindro un’altra genialata, inedita quest’anno. Un centrocampo a tre con Da Cunha (invenzione vera, Fabregas l’ha trasformato da novembre in un regista, da esterno d’attacco), il ritrovato Perrone e il francese Caqueret, il giocatore più pagato nella storia del Como. Il Lione, lo scorso gennaio, ha intascato 17 milioni euro per uno dei più efficaci rubapalloni d’Europa.
Fabregas sta mettendoci del suo, è un allenatore esordiente con una missione: risultati uniti al bel gioco. La strada è stata accidentata e piena di rimpianti nei primi mesi di gioco. Ma la sua sicurezza nella qualità del lavoro, ostentata a ogni occasione, anche quando i risultati non arrivavano mai («ma se giocheremo sempre così, faremo presto il “click”»), alla fine gli sta dando ragione. I risultati sono arrivati con gli uomini giusti al posto giusto, anche e soprattutto i nuovi arrivati. Il Como ha speso tanto a gennaio, è stata una delle società che ha investito di più in tutta Europa. Incredibile, ma vero. E sono arrivati i risultati, con i giocatori meglio allineati sulle idee del tecnico. Il già citato Diao, con 5 reti in 8 partite disputate, se la gioca con Kolo Muani come acquisto migliore e più efficace del mercato di gennaio. Caqueret è stato un innesto di livello europeo, ma non si possono dimenticare i due terzini Smolcic e Valle, presi e messi in campo senza passare dal via e subito ben inseriti nel contesto. E le sorprese, da qui alla fine, potrebbero non essere finite. Perché c’è un interessante attaccante greco, Douvikas, che sin qui ha giocato solo spezzoni di partite facendo intravvedere buoni numeri. C’è un altro spagnolo, Azon, il cui recupero sembra andare per le lunghe, ma di cui si dice un gran bene. E molto presto – si dice un paio di settimane – potrebbe toccare a Dele Alli. L’inglese non gioca da due anni, ma ha un obiettivo in testa: i Mondiali del 2026.
Como, prima la salvezza
Ma, va detto anche questo, il Como non è ancora salvo. La strada è ancora lunga, ma da ieri pomeriggio un po’ più breve. La gente sogna in grande, ormai non per quest’anno, ma per gli anni a venire. E, se davvero si concretizzasse il restyling dello stadio Sinigaglia – i primi passi formali sono stati fatti, in settimana inizierà la conferenza dei servizi -, allora il grande progetto della proprietà indonesiana sarebbe davvero pronto per decollare.