Richiamare Daniele Pradè, non vedo altre soluzioni. Restituire – anche se solo per pochi mesi – un minimo di struttura e equilibrio a una società spiazzata e in confusione. Credo di conoscere bene il calcio italiano, i suoi interpreti e non riesco a individuare un altro dirigente in grado di aggiustare il giocattolo rotto in poco tempo.
Pradè il giocattolo lo conosce bene, avendolo costruito. Si impose le dimissioni il primo novembre quando la classifica era ancora più che recuperabile. Lo fece per sopravvivere a un ambiente che da mesi lo detestava, considerandolo il primo responsabile dello sfascio: era il bersaglio facile, l’unico, ma era anche a Firenze da dieci anni (in due momenti) nei quali la squadra aveva conquistato finali nazionali e internazionali senza mai avvicinarsi al fondo. Troppo romano, l’accusa, e troppo legato ad agenti della capitale e poi quell’insano desiderio di portare De Rossi: la Romentina non la vogliamo!
Pradè respira e ama Firenze come nessuno dei pochi manager presenti, a Firenze aveva preso casa, ha seguito i progetti – Viola Park, stadio, una disgrazia politica – e sa tutto del mercato dove ha comprato fior di giocatori. Può aver commesso degli errori, ma in estate eravamo tutti convinti che avesse speso bene i soldi di Rocco.
Temo che lui non accetterebbe di tornare per non rivivere i giorni nei quali fu condannato a chiudersi in casa: non temeva la Fiesole, ma stava somatizzando l’odio della strada o dello stadio che avrebbe potuto “deviare” qualche giovane testa balzana.
Trovo ingiusto che dieci anni di lavoro ben fatto possano essersi chiusi così. Se Pradè riuscisse ad aiutare la Fiorentina a salvarsi potrebbe vedersi restituito un dignitoso finale di partita.
Lo scontro con Italiano? Risolto. Quello con Palladino? Firenze ora deve solo guardare avanti. Da sotto.
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