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“Gli algoritmi sono per le outsider, non per la Juve. Via per Blanc, a Elkann consigliai Marotta”


Il Napoli, Comolli e Juve-Roma

Marotta arriva a Torino e scrive la storia, mentre lei sfiora il Napoli prima di firmare per la Roma. «A Napoli era già tutto fatto. Scelsi allenatore e direttore sportivo, poi rimasi scottato per la questione dei diritti d’immagine con De Laurentiis. Lui è nato per arrivare primo in ogni cosa che fa: non mi ha parlato per tre anni dopo la nostra rottura, ma riconosco il suo valore da imprenditore. Dopo la fumata nera andai a Roma, senza rimpianti». Chi la scelse a Roma? «Unicredit, che allora curava il delicato passaggio di proprietà con la famiglia Sensi, ma con l’arrivo di Pallotta ero di troppo, c’erano idee diverse sul modo di gestire il club, ho preferito rinunciare a due anni di contratto. Il mio bilancio è fantastico: sfiorammo lo scudetto con Ranieri. Sono stato benissimo: c’è una sintonia speciale con la gente. Adesso con Gasperini giocherà per vincere». La Juve non vince da tanto, troppo tempo. Si è chiesto il motivo? «Per stare nella Juve ci vuole una leadership forte. Ci vogliono manager abituati a vincere. Non esiste altra possibilità, non possono essere solo i giocatori a fare la differenza: società, giocatori e allenatore, in ordine d’importanza, determinano il successo di un club. Non so se questo management sia pronto a primeggiare». 

“Comolli? La Juve non deve usare algoritmi” 

A proposito di management, cosa pensa di Comolli? «Non lo conosco, ma questa scelta non mi piace. Non mi stuzzica l’idea che i dati vengano prima degli uomini. Gli algoritmi li utilizzano le outsider, non la Juve. Alla Juve si deve vincere. Per prendere un giocatore devi sapere tutto: come vive, dove vive, l’attitudine, come si approccia il gruppo, le referenze. Mi meraviglia che Elkann abbia preso un dirigente dal Tolosa, dunque di fatto da un’outsider». Questi sono i giorni dell’offerta di Tether per la Juve. «Elkann è indispensabile, ma deve avere ancora voglia di Juve. Solo in questo caso può fare la differenza. Di sicuro, nel 2006, la sua fame di vittorie era tanta. Pur col suo profilo: lui è un uomo dell’essere, non dell’apparire, ma non gliene si può fare una colpa. Il patrimonio della Juve è la gente di Cinisello Balsamo, Bolzano, Ragusa, Ponza, Ventotene. Questa è la vera ricchezza. Se John ha deciso di dare forza alla tradizione, allora deve strutturarsi per vincere». 

La sfida tra Spalletti e Gasperini

Torniamo a Juve-Roma: è anche la sfida tra Spalletti e Gasperini. «Ci sono gli allenatori di campo e quelli che incidono anche nello stile del club. Spalletti è un uomo di campo, ma ha bisogno di una società forte: lo apprezzo tanto, una volta si presentò in incognito ad una mia lezione universitaria. Il tema era “fare squadra per vincere”: mi sorprese positivamente. Gasperini invece ha già cambiato l’attitudine della Roma: è simile a Liedholm e Capello, non si fa influenzare dall’esterno». Perchè i grandi uomini provenienti da altri sport non funzionano nel calcio? «Velasco è un allenatore, io ho fatto il manager. Sono ruoli completamente diversi, non siamo paragonabili per questo. In ogni caso, speravo che i gruppi stranieri prendessero spunti da uomini di altri sport, ma così non è andata. I dirigenti sono rimasti sempre uomini di calcio, alcuni di questi anche mediocri. Nel calcio mi hanno sempre chiamato imprenditori, non addetti ai lavori». 

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