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Neres esclusivo: “Il Napoli, la Supercoppa e il mio calcio nato per strada”


«Da bambino pensavo solo a giocare a calcio per strada. Ma studiavo, mia madre non faceva eccezioni».

Un bellissimo film dei fratelli Zimbalist racconta la scalata di Edson Arantes do Nascimento: da Dico a Pelé. Anche lui giocava per strada con gli amici. Era il trionfo della Ginga: talento e istinto puri.

«È il modo in cui sono cresciuto anche io: tutti i bambini giocavano in strada ed è così che ho acquisito la Ginga. Penso che mi abbia formato come calciatore: ho cominciato molto presto nel San Paolo, avevo dieci anni e ho subito dovuto imparare la disciplina, ma penso che la cosa più importante sia stata giocare in strada fin da piccolo».

A vent’anni, poi, l’Ajax.

«Le regole al San Paolo mi hanno aiutato: non potevo fare le stesse cose dei miei coetanei, ma quando sono andato in Olanda ho sfruttato quel bagaglio. Andare così presto in un club mi ha fatto diventare un uomo e un giocatore migliore».

Il suo calcio è sempre la stessa gioia. Lei dà l’idea di divertirsi.

«Cerco di farlo il più possibile».

E fa divertire la gente.

«Quando non mi diverto, penso di non poter dare il meglio di me. Ovviamente bisogna concentrarsi e fare sul serio, e a volte non riesci a divertirti molto perché c’è da pensare alla tattica. Ma se non ho questa sensazione, non è la stessa cosa».

Raramente il suo calcio non sorride. Lei fa felici i tifosi del Napoli e gli appassionati. È un idolo.

«È una parola davvero grossa, ho ancora tanta strada da fare. Però avverto molto l’amore e il sostegno dei napoletani. Mi fanno felice».

Ha conosciuto anche l’amarezza, però: un brutto infortunio con l’Ajax, nel momento migliore della carriera, appena entrato nella Seleçao.

«Sì, anche da bambino ho avuto un percorso molto lungo e difficile. E da professionista ci sono stati momenti in cui lo spirito era diverso».

Perché Neres non è più tornato nella Seleçao?

«In Brasile abbiamo tanti grandi giocatori. Io cerco di fare del mio meglio per il mio club».

Però ci crede ancora: il Mondiale è un sogno possibile?

«Sì. Come dico sempre: se fai bene con la tua squadra, il resto viene naturale».

E la Supercoppa? Per chi proverete a vincerla?

«Giocheremo per i tifosi che sono fantastici, per i compagni infortunati, per le nostre famiglie, per tutti. Ma soprattutto per noi stessi che siamo in campo e lavoriamo molto duramente ogni giorno. Ce lo meritiamo».

Quanta strada negli ultimi anni: nel 2022 le bombe in Ucraina e la rinuncia allo Shakhtar, nel 2025 lo scudetto e la finale.

«Le bombe le ho sentite a Donetsk: erano davvero vicine all’hotel. Però la mia storia e la mia educazione mi hanno aiutato: da piccolo mi svegliavo alle quattro e prendevo un autobus per andare ad allenarmi, ma un paio di mesi fa, parlando con mio padre, ho capito che non era niente. Niente: mi ha raccontato le sue storie, di come lavorava con i genitori nei campi a dieci, dodici anni. Questo era davvero difficile, io non ho fatto niente rispetto a quello che hanno fatto mio padre e mia madre».

Lei sogna ancora?

«Sogno di migliorare ogni giorno di più. Anche per la nazionale: ripeto, se fai un buon lavoro quotidiano, il resto verrà da sé».

Crede ancora nella qualificazione agli ottavi di Champions?

«È difficile, ma non è impossibile. Ora, però, siamo concentrati solo sul Bologna. Nella mia mente c’è solo il Bologna».

Sacrosanto. Sarà una sfida piena di esterni. In attacco e in difesa.

«Loro hanno tanti ottimi calciatori. Giocando da ala, mi scontro sempre contro i terzini e quello destro del Bologna è uno dei migliori che abbia mai sfidato. Lo dico sempre ai miei compagni. Ora mi sono spostato a destra, magari può andare meglio… Chissà».

Le piace la vita a Napoli?

«Molto, mi ricorda il Brasile: bellissimo clima, cibo ottimo. Non ho nulla di cui lamentarmi».

Piatto preferito italiano e brasiliano.

«In Italia la pasta, la amo. In Brasile riso, fagioli e manzo. Potrei mangiarlo ogni giorno».

Cosa ha scoperto dell’Arabia?

«Non abbiamo avuto modo di visitare per bene Riyadh. È stata la mia prima volta, ma da quello che ho visto mi piace molto».

Senta, lei custodisce un segreto che stuzzica notevoli curiosità: vogliamo svelare il nome dell’uccello che mima quando fa gol?

«Io in portoghese lo chiamo Corvo Negro. Significa il corvo nero».

Quando ha deciso di festeggiare così?

«Da bambino, quando giocavo con i miei amici in Brasile. E dopo tutti questi anni ho deciso di rifarlo».

Lei e Lang siete inseparabili, vi chiamano Mimì e Cocò: perché?

«Lasciamo stare, meglio non parlare di loro. Anzi, ora vado: mi sta aspettando».

Tutto vero: Lang è alle sue spalle, scherzano, fanno finta di offendersi. Si abbracciano. Mimì e Cocò in finale.



Fonte: http://www.corrieredellosport.it/rss/calcio/serie-a

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