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    Dall’Agnelli più iconico al più vincente: Juve, i 4 presidenti (più uno) della Famiglia

    Tutto cominciò la sera del 24 luglio 1923, quando il 31enne Edoardo Agnelli, figlio del capostipite Giovanni che è stato tra i fondatori della Fiat, fu eletto per acclamazione presidente della Juventus succedendo a Gino Olivetti, di cui era stato vicepresidente. E’ l’uomo che orientò gli affari di famiglia sull’investimento immobiliare del Sestriere – vicino alla culla di famiglia di Villar Perosa – che in quegli anni diventò una stazione sciistica, e nel nome del fordismo introdusse – per quanto possibile all’epoca – logiche aziendali nel calcio. Con lui la Juventus fu sei volte campione d’Italia: la prima nel 1926 e poi cinque di fila nel Quinquennio d’oro 1931-35 che cambiano la storia e l’identità del club. Quando vinse il primo scudetto, la Juve ne aveva conquistato uno (nel 1905) in 29 anni di storia. Quando vinse l’ultimo, la Juve non l’avrebbe più conquistato per 15 anni, e ci vorrà suo figlio. Perché con lui diventa una passione di famiglia, trasmessa ai figli Gianni (secondogenito, primo maschio) e Umberto (ultimo di sette figli), lasciati precocemente a 43 anni in un incidente con l’idrovolante che ha posto fine nel 1935, oltre alla sua giovane vita, anche alla prima età d’oro della Juventus. LEGGI TUTTO

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    Juve-Agnelli, 100 anni d’amore: una storia unica

    Il 24 luglio 1923 la famiglia prese il club. La forza della tradizione e l’importanza dell’innovazione: così si è creato un legame indissolubile e vincente

    Chi non è mai stato a Villar Perosa non può capire cosa sia Villar Perosa. È il luogo dell’anima della famiglia Agnelli e il fulcro della juventinità. È il posto che meglio racconta un legame lungo cent’anni, perché senza il rispetto della tradizione questo rapporto non sarebbe durato così tanto. Avrebbe perso spinta, entusiasmo, magia e si sarebbe trasformato nella normale connessione tra un proprietario e il suo club. Invece no: tra la Juve e gli Agnelli non è andata così. E anche se stavolta non ci sarà la tradizionale gita in Val Chisone, è da Villar Perosa che si deve partire per raccontare quella che non è solo una storia d’amore. Il tempo rimodella ogni sentimento e un secolo è un periodo così lungo da meritare uno sguardo più profondo.

    tradizione e innovazione—  E’ anche una storia d’amore, certo. Però, da sempre, è un’avventura ambiziosa, la volontà di gestire una società sportiva con il rigore degli imprenditori, ma anche la partecipazione affettiva. E’ un affare di famiglia. E quindi un mare di emozioni e discussioni, di sorrisi e lacrime, di programmi e bilanci, di passione e ragione. Il 24 luglio 1923 Edoardo Agnelli, figlio di Giovanni fondatore della Fiat, divenne presidente della Juve: da quel giorno il club non ha mai cambiato proprietà. Non c’è nel calcio un altro legame così duraturo e altrettanto forte, indipendente dai risultati, dalle difficoltà, perfino dalle complicazioni politico-sociali (non si può dimenticare il clima rovente degli anni Settanta). Non c’è un connubio che resista altrettanto bene alle successioni, ai cambi generazionali, alle differenti mentalità. Ed è questa, forse, la cosa che stupisce più di ogni altra: John Elkann ha un approccio alla materia bianconera decisamente meno romantico e più disincantato di quello del nonno, ad esempio. Magari avrà fatto qualche riflessione sull’opportunità o meno di controllare ancora la società, si sarà trovato in disaccordo con alcune mosse strategiche, ma quando parla della Juve lo fa con la serietà che dedica a tutti gli asset principali del gruppo. Non avrà mai il trasporto del nonno Gianni o l’attaccamento dello zio Umberto, non dà l’impressione di emozionarsi come loro, ma è perfettamente consapevole di ciò che rappresenta la Juve per la famiglia e anche lui considera un vanto l’indissolubilità di questo legame. Il centenario arriva in un momento più nero che bianco, ma questo fa parte dello sport. Bisogna saper resistere quando le cose vanno male, la Juve è rinata più volte in modo inatteso. E quando fu presa in mano dagli Agnelli, aveva vinto solo un trofeo: lo scudetto degli albori, nel 1905. Tutto il resto è arrivato dopo ma senza mai derogare dai due principi-base: tradizione e innovazione. La progettazione di una macchina di successo, in fondo, ha qualche punto in comune con la costruzione di una squadra vincente: tutto deve funzionare alla perfezione, ogni ingranaggio è fondamentale. In questi cent’anni sono quattro gli Agnelli che hanno ricoperto il ruolo di presidente: dopo Edoardo, toccò a Gianni (l’Avvocato), a Umberto (il Dottore) e di recente ad Andrea, figlio di Umberto e cugino di John Elkann. Ma anche quando al vertice del club non c’era ufficialmente un Agnelli, non è mai mancata una figura di riferimento che dimostrasse l’attaccamento della proprietà e ispirasse le decisioni più delicate.

    dall’avvocato fino ad andrea—  L’epopea bianconera è fatta di cicli vincenti. La Juve del Quinquennio; quella di Boniperti, Charles e Sivori; la squadra tutta italiana di Trapattoni e poi quella con Platini, Boniek e i campioni del mondo; i trionfi con Lippi e Del Piero; la rinascita con Conte e la striscia di nove tricolori consecutivi. Ma dietro agli allenatori e ai giocatori, c’è sempre stata la famiglia Agnelli. Una famiglia con visioni differenti, legate alle inclinazioni individuali. L’Avvocato amava i giocatori eleganti: Platini, vincente e raffinato, era il campione che meglio rappresentava la sua idea del calcio. Il Dottore aveva un estremo pragmatismo, mentre Andrea, che aveva frequentato lo spogliatoio da ragazzo e ha portato nell’ufficio di presidenza la sua indole di tifoso, ha provato a traghettare la società nel futuro con idee innovative e quasi rivoluzionarie per il calcio italiano, al punto da conquistare fiducia e ammirazione di tanti dirigenti, anche stranieri. Poi ha deragliato, forse spinto dal desiderio di portare la Juve sempre più su (così si spiega l’ingente investimento per Ronaldo) e tenerla allo stesso grado di competitività di club stranieri dal potenziale economico decisamente superiore. Il giudizio sul suo operato va per adesso sospeso perché solo il tempo darà un responso definitivo sugli effetti delle sue ultime decisioni, in particolare quella riguardante la SuperLega. Ma nessun presidente bianconero ha vinto quanto lui (è riuscito a superare Giampiero Boniperti, con cui divide il primato degli scudetti, e Vittorio Chiusano) e questo non può certo essere dimenticato oggi. Solo pochi mesi fa nessuno avrebbe ipotizzato che questo centenario venisse celebrato senza un Agnelli nel cda della società e in un clima di preoccupazione per le ambizioni sportive e la situazione economica. Però lo sport insegna a vivere a testa alta soprattutto questi momenti: c’è sempre una sfida da vincere. E nell’estate in cui l’Arabia Saudita diventa il centro del calciomercato mondiale, la Juve può sorridere per la bellezza di una storia unica. Una storia che ha un passato glorioso e che merita un futuro all’altezza della tradizione. E’ questo il compito, non semplice, che aspetta John Elkann. «Fino alla fine», recita il motto del club. Chissà se una fine ci sarà mai. LEGGI TUTTO

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    L’appello di Romero: “Milan, voglio restare. Qui posso imparare tanto”

    L’argentino: “Un gol alla Dybala? Ho calciato come so fare io…”. Tommaso: “Bello giocare accanto a gente come Loftus-Cheek”

    dal nostro inviato Luca Bianchin
    24 luglio

    – pasadena (california)

    Luka Romero manda un messaggio chiaro al Milan e al mondo. Diciamo al mondo milanista. “Se voglio restare o andare a giocare? Io voglio stare qui per la stagione, qui posso imparare tanto”. A giudicare da Real Madrid-Milan, ha chance. Romero è entrato per Messias e ha fatto un gran gol, come generalmente non succede alla prima partita vera col Milan: controllo e sinistro all’incrocio. E se gli chiedete se il gol sia da Dybala, risponde così: “Ho calciato come so fare io…”. Personalità.

    grazie ruben—  Tommaso Pobega invece fa il saggio e del resto, è in squadra da anni: “Siamo soddisfatti, è stato un test importante, abbiamo alzato subito il livello. Che cosa cambia rispetto alla scorsa stagione? Abbiamo provato un approccio diverso in fase di possesso”. Quale? Il Milan parte con due mezze ali che si aprono, si abbassano o si alzano alternativamente. È lì in mezzo, con l’addio al trequartista, che il Milan è cambiato. Ah, a proposito: la novità a metà campo è Ruben Loftus-Cheek, che già mostra momenti da calciatore di livello. Palla a Pobega: “Ruben? È sempre bello giocare con i calciatori forti”. LEGGI TUTTO

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    Pioli contento: “Il nuovo Milan mi piace molto, faremo un calcio ancora più offensivo”

    L’allenatore rossonero soddisfatto dopo il 2-3 col Real: “I nuovi si stanno inserendo. Romero è entrato bene. Simic? Gli ho detto solo in mattinata che avrebbe giocato titolare, è stato bravo”

    dal nostro inviato Luca Bianchin
    24 luglio

    – pasadena (california)

    Stefano Pioli è soddisfatto, soddisfatto come poche volte. “Il Milan mi piace molto. Sono arrivati giocatori forti: Pulisic, Loftus-Cheek, Reijnders, mi piace come si stanno inserendo. Ci permetteranno di giocare un calcio ancora più tecnico, ancora più offensivo”. Il Milan a Pasadena ha perso 3-2 col Real ma qui importa a nessuno. I tifosi sono andati via contenti e Pioli – giustamente – guarda molto di più al lato positivo della partita: “Dopo 10 giorni ho visto cose interessanti, ad esempio come abbiamo cercato di muovere la palla, la personalità. Che cosa cambierà dallo scorso anno? Occupiamo posizioni diverse ma i principi di gioco sono gli stessi”.

    sorpresa simic—    Zoom sui singoli, inevitabile. Luka Romero: “È entrato molto bene – dice Pioli -. Non solo per il gol”. Simic, titolare a 18 anni dopo che il trasferimento al Villarreal ha convinto Pioli a non rischiarlo: “Ha saputo solo stamattina che avrebbe giocato. Sta lavorando molto bene”. Okafor, arrivato a Los Angeles mentre il Milan era al Rose Bowl: “È un attaccante che può giocare in più ruoli, è giovane ma ha già dimostrato il suo valore. Ha colpi, velocità, uno contro uno, per me può fare la punta o l’esterno sinistro. Un giudizio vero però lo darò solo quando lo allenerò”. Su Chukwueze invece… Pioli passa: “Finché non saranno miei giocatori, non commento”. LEGGI TUTTO

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    Milan-Real Madrid: Dazn o Sky Sport? Dove vederla in tv e in streaming

    Debutto americano per i rossoneri nel Soccer Champions Tour 2023. Alle 4 (ora italiana) il fischio d’inizio al Rose Bowl di Pasadena

    Seconda uscita stagionale del Milan, la prima del tour americano: dal Lumezzane (7-0) al… Real Madrid dell’ex Carlo Ancelotti. Un test che servirà a Stefano Pioli per cominciare a dare forma alla nuova squadra che verrà, a partire dall’inserimento dei nuovi, in attesa di Chukwueze. Alle 4 (ora italiana, 19 locali) il fischio d’inizio al Rose Bowl di Pasadena nell’amichevole valida per il Soccer Champions Tour 2023, che vedrà il Milan sfidare anche la Juventus (27 luglio) e il Barcellona (1 agosto). 

    dove vederla—  La partita tra Milan e Real Madrid si potrà seguire in streaming sull’app e sul sito di Dazn. Su Sky, invece, il match verrà trasmesso su Sky Sport Summer (canale 201) e sul canale Zona Dazn. Diretta testuale su www.gazzetta.it.  LEGGI TUTTO