Buongiorno Luca Pellegrini. Dopo tre mesi di Bundesliga, con la maglia dell’Eintracht Francoforte e quindi di vita in Germania, come definirebbe l’approccio con la realtà tedesca?
«Sto vivendo bene un’esperienza nuova sotto tanti punti di vista. Diciamo che il fatto che la squadra stia ottenendo risultati importanti aiuta perché, si sa, nel calcio vincere aiuta a far sì che tutto finisca sotto una luce migliore. L’aspetto che mi ha sorpreso di più nei primissimi giorni, che mi ha fatto vivere un impatto forte è stato il discorso della mentalità: campionato diverso, nazione con altri usi, siamo abbastanza differenti. Appena arrivato, a metà agosto, mi sono subito dovuto gettare nella mischia per cui ho dovuto accelerare un po’ il processo di abitudine alle novità sia in campo che fuori».
Quali sono state le diversità maggiori alle quali ha dovuto imprarare a dare del tu?
«Un po’ tutto, anche il cibo! Ma parlo per esempio dell’orario dei pasti. In Italia a cena noi mangiamo verso le 8 o otto mezza, qui invece ci si mette a tavola alle sette. Ma questo è un dettaglio. Ricordo che nella prima partita di Champions League noi abbiamo perso tre a zero contro lo Sporting e non c’è stato un secondo in cui i tifosi non abbiano smesso di incitarci. Anzi. A fine partita ci hanno pure riservato una standing ovation per l’impegno che avevamo messo in tutti i novanta minuti e che avevano apprezzato. Io non me lo aspettavo proprio, in Italia non è così usuale ricevere applausi e consensi se perdi con un risultato del genere, così pesante. Io dico che c’è proprio un altro modo di vedere e percepire il fenomeno della partita di calcio. I tedeschi la sentono molto la passione per la propria squadra ma hanno comunque sempre un atteggiamento propositivo».
Sorpreso da questa annata così positiva dell’Eintracht Francoforte? Siete nelle prime posizioni della classifica oltre a esservi qualificati in Champions League per gli ottavi di finale…
«Sapevo che si trattava di un club forte e importante, altrimenti non avrei preso in considerazione il trasferimento da Torino. Io dico che abbiamo ancora margini di miglioramento anche perché siamo una squadra giovane dietro la quale c’è un progetto bellissimo. Siamo sulla strada giusta».
Che rapporto ha con il tecnico austriaco Oliver Glasner? Parlate in inglese? Quali le differenze più significative rispetto a Massimiliano Allegri?
«Per fortuna so l’inglese abbastanza bene, per cui non ci sono problemi per capirci sia negli allenamenti che in partita. Il tedesco è una lingua difficile da imparare, soprattutto in poco tempo. Con qualche compagno si parla e ci si capisce usando anche lo spagnolo. Fare paragoni con Allegri non è facile anche perché si tratta di un campionato diverso. Posso però dire che quello che accomuna i due allenatori è la personalità, hanno un carattere molto forte, sono carismatici».
Qual è il compagno più forte?
«Giocatori importanti ne abbiamo tanti, l’impressione che ho avuto subito è che la rosa è di livello altissimo, c’è una competitività davvero spiccata. Si tratta poi di giocatori con una mentalità fortissima, che si sposa con quella della Bundesliga in cui se si pareggia è più facile che accada 3-3 o 4-4 e non 0-0. Qui in Germania l’obiettivo principale è andare all’attacco per fare gol e non preoccuparsi di subire una rete in meno, come per esempio avviene in Italia, dove l’aspetto tattico è molto più impattante e si è più conservativi. Ecco, il termine giusto è conservativi. Qui invece è un continuo andare in avanti, il focus è sempre lo stesso: segnare. In questo modo davvero non ci sono partite scontate, si tratta di match tutti stancanti anche dal punto di vista fisico. Bisogna essere molto pronti dal punto di vista della condizione. Ma devo dire che questo dispendio è figlio dell’approccio mentale con cui si scende in campo».
Si avvicina il Mondiale. Quali le Nazionali favorite?
«Semplice: Argentina, Germania, Brasile e forse la Francia. Vorrei che alla fine vincessero tutti quelli che conosco!».
A un giovane giocatore italiano consiglierebbe un’esperienza all’estero?
«Assolutamente sì. Anche come esperienza di vita è molto formativa, ti confronti con altre culture e stili di vita, modi di pensare differenti. Esci dalla comfort zone per cui puoi crescere. Io sono da sempre una persona curiosa per cui se posso cambiare lo faccio volentieri. Non a caso negli ultimi cinque anni ho girato cinque città. Ma la consiglierei anche dal punto di vista calcistico: in Bundesliga ogni squadra che affrontiamo ha moltissimi giovani. Si investe molto su chi non ha esperienza. Secondo me ne vale la pena provare all’estero, lo consiglierei di cuore a un ragazzo italiano qualora si presentasse l’opportunità».
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