Con 5 anni d’anticipo sul Maggio francese, Milano vive la sua rivoluzione, che si riflette anche sul calcio: Milan sul tetto d’Europa e primo scudetto della “Grande Inter”. Ma per l’intera città la primavera del 1963 è la stagione del boom, economico e culturale
EURODERBY: L’ATTESA LIVE
È evidente che un milanista d’antan ricorderà il maggio del 1963 soprattutto per la vittoria della prima Coppa dei Campioni e i suoi cugini nerazzurri per lo scudetto di quella che, di lì a poco, sarebbe diventata la “Grande Inter” di Helenio Herrera. Ma anche i cinefili ripenseranno a quella primavera per il trionfo del milanese Luchino Visconti al Festival di Cannes, Palma d’oro per il Gattopardo, come gli amanti dell’opera si commuoveranno nel rievocare la sontuosa Aida di Franco Zeffirelli alla Scala. Gli intellettuali, poi, avranno ancora di che arrovellarsi sulla controversa Vita di Galileo, il punto più alto raggiunto dalla ricerca brechtiana di Giorgio Strehler, portata in scena al Piccolo Teatro, mentre i veri bohémien rammenteranno le Canzoni della Mala di Ornella Vanoni (che nello stesso anno è Rosetta nel Rugantino di Garinei & Giovannini e vola a Broadway); ma anche l’aperò al Bar Jamaica; il Derby Club di Enzo Jannacci, Dario Fo, Cochi e Renato; le sbevazzate da Gattullo, in porta Lodovica, sede dell’Ufficio facce di Beppe Viola (“scommetto che quello al bancone è milanista!”); e la purezza di Giorgio Gaber, che nello stesso periodo canticchiava Goganga e Porta Romana dribblando i tram che sferragliavano nella scighéra.
Sophia Loren ‘sfida’ Eva Kant
Persino Adriano Celentano s’innamora di Claudia Mori in quei mesi là. E Sophia Loren che recita in milanese? Solo nel 1963: è la moglie annoiata di un ricco industriale che scorrazza in Rolls ansiosa di “prelevare” dai Navigli lo squattrinato Marcello Mastroianni, che l’aspetta sommessamente su una Fiat Seicento nel secondo episodio di Ieri, oggi e domani di Vittorio De Sica (Oscar per il miglior film straniero). Ma vogliamo parlare di Diabolik? Per i fanatici del fumetto tradotto anche in finlandese stretto il vero numero zero della serie sbarca in edicola il 1° marzo ’63, quando le milanesissime sorelle Giussani decidono finalmente di partorire Eva Kant, chiamata a salvare il Re del terrore, arrestato dall’ispettore Ginko e condannato a salire sulla ghigliottina.
Capitale morale
L’intera città respira un’atmosfera inebriante, creativa, internazionale, positiva, rivoluzionaria. Anche il Papa, Paolo VI, era stato arcivescovo di Milano… Insomma, c’è un disegno preciso dietro l’impresa di Paron Rocco, Gianni Rivera, capitan Cesare Maldini e del match winner José Altafini (“E bravo il nostro caro vecchio Milan! La società primogenita del calcio milanese ha tolto al Benfica di Lisbona il titolo e la dignità di campione d’Europa”, scriverà Gianni Brera sul Giorno): il 2-1 ai portoghesi di Eusebio non nasce a Wembley, ma va inserito in un contesto più ampio, a 360 gradi. Milano viene investita a “capitale morale” non solo perché Roma è distratta dalla Dolce vita, ma nei fatti: trascina l’Italia al boom economico, dà la scossa a tutto lo Stivale.
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Milanello e i Moratti
Lo fa con la sua forza culturale, dal Corriere della Sera alle case editrici; la scienza e l’urbanistica, l’Università, il senso del lavoro, innato, nell’operaio come nel “padrone”. La programmazione, su tutti i livelli. Milanello, voluto dal presidente Andrea Rizzoli (su progetto del general manager Gipo Viani) fu inaugurato proprio sessant’anni fa. Quando l’avvocato Peppino Prisco diventa vice presidente e Angelo Moratti, un ex rappresentante di combustibili lancia l’Inter al vertice del campionato italiano, e poi in Europa e nel mondo, imitato 50 anni dopo dal figlio Massimo grazie a un altro Mago, José Mourinho, nato – indovinate un po’ – nell’anno di grazia 1963…
La Milano nera
Certo, s’intravede una Milano Nera, per dirla alla Pasolini (gli ultimi dieci minuti del film, peraltro, sono girati all’esterno e all’interno dello stadio San Siro). Quella dei “Contessa” e del “Rospo”, controfigure di personaggi da Calibro 9 alla Turatello e Vallanzasca, in perfetto stile Scerbanenco. Ragazzi di vita che Giovanni Testori aveva raccontato bene nel Ponte della Ghisolfa, cui Visconti si era ispirato per Rocco e suoi fratelli, che girò in bianco e nero perché era così, secondo il regista, che Milano appariva agli occhi degli immigrati provenienti dal meridione. E forse non solo al loro sguardo.
Zucchero e catrame
Prendete Aldino, che sembra uscito da una vecchia canzone di Lucio Dalla ma è il protagonista di Tirar mattina, scritto da Umberto Simonetta e pubblicato sempre nel 1963: un perdigiorno che decide di immergersi per l’ultima volta nella macchia dei soliti bar, biliardi e bordelli prima di chiudere con una vita da balordo e mettersi a lavurà, ma che d’un tratto scopre una città “drogata dalla smania di distruggere e rifare, distruggere e rifare e tutti che sgobbano e maledicono di dover sgobbare… e sotto con le perforatrici a mitraglia giorno e notte”. Sessant’anni dopo, la storia non è cambiata: Milan l’è semper on gran Milan, “sguardo maligno di Dio, zucchero e catrame…”.
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