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    Salis: “Professionismo, lo Stato ora aiuti. Rubiales? Atteggiamenti fuori dal tempo”

    La vicepresidente vicario del Coni: “Un anno fa il calcio femminile ha svoltato ma le donne seguono ancora poco lo sport”

    s ilvia Salis, vicepresidente vicario del Coni, è da poco diventata mamma. Il 5 ottobre a Genova è nato Eugenio, avuto con il marito e regista Fausto Brizzi. All’anagrafe è stato registrato come Eugenio Salis, “perché – ha spiegato lei – un maschio che capisce fin da bambino che nella sua famiglia vige la parità assoluta non penserà mai che le donne siano una sua proprietà”. È evidente che la parità di genere le stia a cuore, come dimostra pure l’aver preso parte a Maledetta Primavera, corto che sarà presentato domani ad Alice nella Città, sezione parallela della Festa del Cinema di Roma. “Celebra il primo anno di professionismo nel calcio femminile, che è stato di certo un momento di svolta per lo sport italiano. È un progetto patrocinato dal Coni, che mi ha colpito fin dall’inizio perché eseguito con grande passione”.  LEGGI TUTTO

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    Ferrieri Caputi: “Il Var è un angelo custode. E il prossimo Mondiale…”

    L’arbitro che nell’ottobre 2022 cambiava la storia: “Nelle categorie inferiori sono stata pure aggredita verbalmente, la vocazione mi ha fatto continuare”

    U no sguardo veloce al Var (“Il nostro angelo custode”). Per il resto, solo vita. La vita cambiata di una ragazza che ha fatto la storia, Maria Sole Ferrieri Caputi, schiettezza e semplicità in abito blu. Un anno fa, 2 ottobre 2022, debuttò in A in Sassuolo-Salernitana: la prima donna arbitro a toccare la Luna. Poco più di un anno dopo, al Festival di Trento, Ferrieri Caputi si è tolta la divisa e si è messa a parlare di Maria Sole dentro un anno speciale. “Che non pensavo così intenso”.  LEGGI TUTTO

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    Zambrotta: “È una partita da titolo. Il Milan sta meglio, ma Allegri se la gioca”

    Il doppio ex della sfida di San Siro: “Pulisic e Leao formano la coppia di esterni migliore della Serie A. Fossi nella Juve punterei su Weah e Kostic per la spinta sulle corsie”

    Gianluca Zambrotta non ha perso il dono dell’ubiquità. Da giocatore potevi trovarlo a destra e a sinistra, come ala o terzino. Ora che la sua carriera è un ricordo mischia attività ufficiali e private. Riassume lui, per brevità: “Sono vice presidente del settore tecnico della Figc per l’Aic, ambassador del museo della Fifa a Zurigo, ambassador per Liga e Serie A. Poi ho i miei centri sportivi: uno a Bresso, vicino a Milano, uno a San Fermo della Battaglia con padel, fitness e piscina, una scuola calcio con il progetto Azzurrini per i bambini autistici”. In più, fa il papà (e questo per un parere su Fagioli e Tonali tornerà utile).  LEGGI TUTTO

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    Juric obbligato a svoltare: 21 giorni per dare un senso al Torino

    Se mai domani rivedessimo un Toro come Dio comanda, cioè come invocano i tifosi e come pretende Cairo, ormai vicino a innervosirsi anche in pubblico (non proprio un dettaglio), scopriremmo Juric con in mano un gelato al limon, per dirla con Paolo Conte: «Non avere paura che sia già finita, ancora tante cose quest’uomo ti darà». Quel che si augurano tutti, nel macrocosmo granata, è soltanto questo. Che quest’uomo, vissuto a Torino per due anni da salvatore della patria, mescolando ampie porzioni di pars costruens (la creazione di una squadra e la restituzione di entusiasmo e speranze) e destruens (le svariate critiche alla società), esca dalle sabbie mobili in cui è progressivamente finito.
    L’appoggio che ha goduto Juric, in termini di sostegno quasi incondizionato da parte dei tifosi e di comprensione e stima sui banchi della critica libera di giudicare, per un biennio è stato enorme ed è andato a colmare anche le lacune che il Torino società mostrava e ancora mostra: il tecnico ha tappato falle, aggiustato l’aggiustabile e battuto i pugni per migliorare strategie, processi interni e metodologie di lavoro, sull’onda di un percorso di crescita snocciolato concretamente sotto gli occhi di tutti. «Lo stimo molto, provo per lui anche riconoscenza per tutto quello che ha fatto nei primi due anni», diceva lo stesso Cairo prima del derby. Tuttavia adesso il clima è cambiato. Il presidente si è messo in una posizione sopraelevata. Più spettatore, meno coprotagonista: «Ho fatto un passo indietro, Juric preferisce avere la sua libertà. E io lo lascio fare perché so che ci tiene ad avere il controllo».
    Torino, i numeri: solo due vittorie
    Lo scarto concettuale non passi inosservato. Uno spettatore si trasforma facilmente in giudice, quando gli ingranaggi della squadra non girano. Dopo un mercato elogiato da Cairo e Vagnati con toni anche altisonanti tutte le volte quando è stato loro possibile, il Torino ha messo assieme solo 2 vittorie (Genoa e Salernitana) e 3 pareggi (Cagliari, Roma e Verona), incassando 3 sconfitte (Milan, Lazio e Juventus). E questo Toro poco vincente e troppo perdente è ormai diventato soltanto di Juric: non più del presidente o del suo ds. Loro due paiono quasi stiliti in questa specifica fase, in attesa di scendere dalla colonna e diventare esattori delle tasse, se i risultati continueranno a latitare, settimana dopo settimana. Il dente duole e la lingua va a sbattere lì per forza. Per la serie: Ivan, come la mettiamo? 
    Toro, statistiche deludenti 
    Appena 6 gol segnati (ma di cui 3 solo a Salerno) e già 9 subiti. Con nel fianco di Ivan la lancia conficcata del passaggio al doppio attaccante, così chiacchierato, invocato e affastellato nell’utilizzo (vedi contro la Lazio), fino a mostrare contorni da piaga aperta, dal momento che ancora l’altro ieri Cairo sponsorizzava il cambio di modulo, nella fattispecie facendosi portavoce anche di tanto comune sentire. Soltanto il Genoa, in 8 giornate, ha tirato di meno in porta. Preoccupante l’involuzione della squadra nelle ultime 3 partite: Lazio, Verona e derby.
    Torino, la Juve e i prossimi giorni
    Contro la Juventus i voli pindarici di Vanja, l’Icaro granata, hanno condannato la squadra, senza dubbio: ma troppi giocatori chiave sono in difficoltà già da tempo (Ilic, Ricci, lo stesso Zapata ultima versione e naturalmente il «non disciplinato» Radonjic, come dice Cairo). Alcuni, persino senza soluzione di continuità (Vlasic). E modesto è fin qui risultato anche l’apporto di Bellanova e Lazaro, sulle fasce. Va da sé la produzione di un gioco colorato di grigio per fattura e intensità, spesso prevedibile. E anche i rapporti conflittuali o problematici ammessi dallo stesso Juric con Radonjic, Ilic e Sanabria hanno acuito spigoli, difficoltà e polemiche. Da domani all’11 novembre si apriranno 21 giorni tosti, con 4 partite e un comandamento: Juric, tirato da tutti per la giacchetta, a maggior ragione da chi continua a ripetere di aver speso un patrimonio per rinforzare la rosa, è chiamato a ridare un senso al Toro. Restituendo il Torino migliore dell’ultimo anno, arrivato a un passo dalla qualificazione in Conference (oggi i granata sono quattordicesimi). Subito le forche caudine dell’Inter: un Moloch con le sue fauci (il miglior attacco del campionato). Ma Cairo si è già dato all’esegesi biblica per spiegare al tecnico come motivare meglio i giocatori e ottenere una scossa innanzi tutto caratteriale: «Meno elogi agli avversari, alla vigilia. Anche i nostri giocatori hanno molta qualità. E non raramente Davide batte Golia. Dimostriamo che abbiamo più voglia di vincere».
    Juric, il calendario può aiutare
    Poi il calendario potrà aiutare: Lecce, Sassuolo e Monza, prima della prossima sosta. Finora il Toro è risultato debole coi forti e non abbastanza forte coi deboli. Tra rupi scoscese, l’inversione del trend è l’unico sentiero salvifico al trivio del come (la personalità e il gioco), del quanto (l’unità della squadra al fianco del tecnico) e del cosa (i punti, il motore primo). E, decisamente al di là di Cairo e Vagnati, se la tifoseria o certa critica tira per la giacchetta Juric in momenti così deludenti, è anche perché gli batteva continuamente le mani quando era lui a farlo. E diceva di crederci. Appieno.  LEGGI TUTTO

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    Le 5 Inter dell’era Marotta: ecco perché questa è la più completa

    Delle cinque squadre nerazzurre costruite dal dirigente, le certezze maggiori sono in questa stagione: per Inzaghi la missione è ancor di più la seconda stella…

    Filippo Conticello-Davide Stoppini
    20 ottobre – MILANO

    La prima vera Inter con Beppe Marotta al timone è quella del 2019-20. Si è parlato molto di rivoluzione intorno alla squadra di questa stagione. Ma in quell’estate di quattro anni fa i nerazzurri cambiarono totalmente faccia. Arrivò Antonio Conte in panchina, Mauro Icardi e Radja Nainggolan furono estromessi dal ritiro ancor prima di essere ceduti. Con loro fu allontanato Ivan Perisic, che 12 mesi più tardi sarebbe diventato uno dei segreti del tricolore. Il colpo di mercato fu quello di Lukaku, con tanto di tira e molla con il Manchester United e l’inserimento respinto della Juventus. Con il belga ad Appiano sbarcò Barella, insieme a quel fuoco d’artificio illusorio che rispondeva al nome di Sensi, molto presto arresosi agli infortuni. In difesa a Milano fu preso (a zero) Godin. Ma il difensore titolare era già in casa. Perché Conte vide in allenamento un certo Bastoni e se ne innamorò presto, tanto che il mancino rubò in poche settimane il posto all’uruguaiano. È stato l’ultimo grande mercato di investimenti da parte di Suning: a gennaio fu preso anche Eriksen. Quell’Inter coltivò a lungo il sogno scudetto, salvo rallentare prima della pandemia. L’impresa alla quale Conte andò più vicino fu in Europa League. Ad agosto arrivò a giocarsi a Colonia la finale con il Siviglia, arrendendosi a errori in serie e sfortuna. Antonio minacciò di dimettersi, il famoso vertice di Villa Bellini servì per rimettere insieme i cocci. L’Inter tricolore dell’anno successivo era già nata e nessuno lo sapeva ancora. LEGGI TUTTO