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    Toro, da Schuurs a Zapata: i 6 che non devono partire, gli incedibili di Vanoli

    L’allenatore non porrà condizioni su Alessandro Buongiorno: lo considera ovviamente uno dei più forti e promettenti difensori italiani, tuttavia sa bene che davanti a una proposta all’altezza il sacrificio del centrale diventerebbe fisiologico. Si parla, infatti, di 40-45 milioni, cifra che permetterebbe al club di agire con tranquilità ed efficacia sul mercato per costruire una squadra all’altezza della situazione. Anche perché sono note le giuste ambizioni del centrale azzurro, che, dopo aver rifiutato nello scorso agosto l’Atalanta, adesso accetterebbe una cessione a un grande club, in primis l’Inter, destinazione preferita. Tuttavia, per quanto riguarda la difesa, Vanoli porrà il veto alla cessione di Perr Schuurs, convinto che, non appena l’olandese si sarà ripreso dalla lunga convalescenza post operatoria, tornerà al centro del progetto difensivo, così come era nelle intenzioni di Ivan Juric già nella stagione da poco terminata.
    Toro, le mosse mercato
    Zapata è blindato
    Questa, dunque, è la prima richiesta che farà. Poi, ovviamente, ce ne saranno altre. In sostanza, della lista degli incedibili fanno parte sei giocatori. Dopo l’olandese c’è Raoul Bellanova: il turbo destro è considerato fondamentale. Per lui sono arrivate numerose richieste, alcune anche molto intriganti, ma il tecnico non intende liberarlo per niente al mondo. In questo momento, infatti, il granata è uno dei più forti esterni del campionato italiano e lo stesso Spalletti sfrutterà le sue caratteristiche nell’Europeo, anche se questa sera dovrebbe farlo partire dalla panchina. Naturalmente pure Duvan Zapata è blindato. I gol realizzato nell’ultimo campionato (ben 12) sono una garanzia. L’attaccante, grazie alla sua straordinaria determinazione e all’eccellente lavoro dei preparatori atletici, ha prima raggiunto e poi mantenuto una condizione fisica notevolissima alla faccia dei 33 anni.
    Ricci, Linetty e Gineitis importanti per Vanoli
    Il quarto della lista è Samuele Ricci, centrocampista che si sposa alla perfezione con il gioco di Vanoli. Anche lui ha delle richieste, anche lui non si muoverà da Torino. Ivan Ilic si può sacrificare se al Toro arriveranno i 16 milioni sborsati al Verona (piace in Premier League), Ricci invece no. Sempre per rimanere a centrocampo, Vanoli considera importanti Karol Linetty e Gvidas Gineitis, due che lottano e che coprono le diverse zone del campo con forza e intelligenza. A proposito: il giovane lituano, ventenne, è uno dei granata ad aver avuto più richieste, sia dall’Italia sia dall’estero, comprese alcune da società molto importanti. Evidentemente in questa stagione, nonostante le poche presenze, ha lasciato il segno. Di sicuro ha ancora un ampio margine di miglioramento e il Toro se lo terrà stretto. Vanoli lo stima molto ed è convinto di migliorarlo sotto tutti i punti di vista. LEGGI TUTTO

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    Vanoli, sfida finale: Toro-Venezia, intesa in arrivo?

    Di Francesco verso Venezia
    Il succo? I vertici del club veneto sono riusciti a frenare l’assalto avviato dall’Empoli nei giorni scorsi per l’ex tecnico del Frosinone (sarebbe rimasto alla guida dei laziali solo in caso di salvezza: sarebbe scattato il diritto automatico di prolungamento fino al ‘25) e stanno ora cercando di chiudere una buona volta l’intesa con l’allenatore pescarese, mentre la società toscana (destinata a perdere Nicola: accordo trovato con il Cagliari) si sta già orientando verso altre piste. Accomunare idealmente Di Francesco e Vanoli ha un senso, eccome, per motivi sia strategici sia regolamentari: dobbiamo di nuovo parlare di effetto domino, insomma. Effetto domino che stavolta appare dietro l’angolo.
    Vanoli-Torino: fumata bianca
    Partiamo da una precisazione e da un promemoria. La precisazione: la fumata bianca per Vanoli al Torino non è assolutamente in dubbio, ormai è soltanto una questione di tempo (domani, al più tardi entro lunedì, come detto). Il promemoria: il Torino ha già un accordo blindato da parecchio tempo con il tecnico in uscita dal Venezia (contratto fino al 2026, più opzione per un prolungamento di ulteriori 12 mesi; un milione netto di ingaggio più bonus in caso di qualificazione a una Coppa europea o di vittoria della Coppaa Italia. Rispetto al legame in essere con i lagunari, 300 mila euro in più di stipendio fisso a stagione). E adesso andiamo avanti.
    Le parole di Antonelli
    Il Venezia, atterrato lungo sul problema della sostituzione di Vanoli, è vicino a chiudere l’accordo con Di Francesco, adesso (Zaffaroni prima alternativa, nel caso). Adesso, cioè a quasi due settimane dalla conquista della Serie A e nonostante fosse risaputo da mesi l’interesse concreto del Torino per Vanoli (su questo giornale fu svelato in esclusiva addirittura a metà gennaio…). In ogni caso, la società veneta sta finalmente portando a casa la soluzione tanto attesa. Lo stesso ds arancioneroverde, Antonelli, appena 48 ore fa ammetteva: «Di Francesco ci interessa, ma prima dobbiamo risolvere la questione Vanoli». Appunto. Affinché il Venezia possa mettere ufficialmente sotto contratto Di Francesco, corteggiato ormai da una decina di giorni in crescendo, deve necessariamente aver prima risolto il contratto con Vanoli (oppure esonerarlo, cosa peraltro irrealistica): le regole sono regole e le regole sono queste. I vertici della società hanno ovviamente urgenza di chiudere e blindare l’accordo con Di Francesco, giunti a questo punto, proprio per evitare il rischio di perderlo in extremis per colpa di qualche sorpasso a destra. Devono, di conseguenza, trovare anche un’intesa preventiva col Torino per Vanoli, su cui pende (come ben si sa) una clausola rescissoria di un milione. Cairo e di conseguenza Vagnati, tuttavia, non hanno affatto intenzione di spendere quel milione, avendo già in mano da tempo l’allenatore, non più…“presentabile” a Venezia per la prossima stagione.
    La contropartita del Torino
    Si sa, finora il Torino ha cercato di abbassare il più possibile la cifra, inserendo una contropartita. La più chiacchierata? Il prestito oneroso con diritto di riscatto e controdiritto del terzino destro 20enne Dembelé, innanzitutto (di proprietà granata), che il Venezia vuole tenere dopo la stagione in prestito puro. Ma Vagnati ha messo sul piatto anche il prestito oneroso del centrocampista coetaneo ?lkhan o del 22enne jolly offensivo Horvath, in alternativa. O la cessione a titolo definitivo al Venezia di Seck oppure di Karamoh, entrambi in scadenza già nel ‘25 e fuori dai programmi futuri del Torino. Non solo: Vagnati ha provato pure a inserire nelle trattative con il Venezia l’acquisto del difensore centrale (nazionale indonesiano) Idzes, 24 anni, pupillo di Vanoli e pure lui protagonista della splendida cavalcata del Venezia fino in A.
    Il nodo della clausola rescissoria
    Tuttavia, le due società non si sono mai trovate d’accordo sulle valutazioni economiche da dare ai vari giocatori. Per cui si è tornati al braccio di ferro, tra tensioni anche crescenti. Anche ieri il Venezia ha ribadito di volere quel milione per la clausola rescissoria di Vanoli. Dal canto suo, il Torino ha replicato proponendo una formula che è parsa persino provocatoria ai lagunari: offerta di 400 mila euro al Venezia ma non cash, bensì sempre e solo attraverso una delle contropartite di cui sopra. E nessun conguaglio. E allora? Parti lontanissime e intesa rimandata a chissà quando? No, perché questo scontro tra i due club nelle ultime 48 ore appare ben più realisticamente e logicamente come un braccio di ferro attendista in vista di una partita finale, di trattative per l’appunto finali. Al Venezia perché se no rischia di perdere Di Francesco, strada facendo. Al Torino, appunto per dare vita anche ufficialmente al nuovo ciclo con Vanoli.
    I problemi da risolvere
    E cosa si scopre, adesso? Che oggi Vagnati e Antonelli torneranno a incontrarsi per fare di conto e provare a trovare una soluzione sì utile al Torino, ovviamente, ma persino più necessaria e ben più urgente per il Venezia, altrimenti impossibilitato a chiudere con Di Francesco. E allora si tornerà a parlare anche di possibile contropartite. Piaccia o non piaccia, insomma, il club granata sta facendo il proprio gioco, sfruttando scientemente le difficoltà del Venezia per cercare di abbassare il più possibile la cifra della clausola. Vedremo se già oggi i veneti accetteranno per forza un compromesso meno vantaggioso rispetto a quel milione di partenza della clausola, oppure se continueranno nel braccio di ferro col Torino. L’irritazione (eufemismo) dei veneti soprattutto con Vanoli ma anche per il modus operandi del club granata è, in ogni caso, altamente significativa. LEGGI TUTTO

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    Calafiori, Fenucci fa barricate: “Abbiamo chiamato l’agente, resta a Bologna”

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    Chiesa, il più forte dell’Italia ma al bivio Juve: incognita azzurra perché…

    Siccome dopo sono “tutti bravi dal divano” (cit Dazn), qui si prova a esser bravi prima. Se possibile, prima che sia troppo tardi, perché all’Europeo manca poco, appena una settimana al debutto con l’Albania. È il momento dei consigli (non richiesti) a Spalletti. Un’avventura. Pericolosa non perché il ct sia permaloso, anzi. Tutt’altro. È felicemente tormentato dalle sue scelte, ma pure serenamente convinto di aver deciso al meglio. Decisioni che sono partite dal listone dei 30, dove qualcuno tipo Immobile non ha passato neanche le qualifiche. Altri come Pessina e Biraghi ci sono andati vicino, ma “vicino” non conta. E poi Locatelli e Bonaventura sono usciti al penultimo giro.

    Gatti invece è rientrato alla penultima curva per la sfortuna di Acerbi e Scalvini. E ieri Provedel, Ricci e Orsolini hanno preparato la valigia per le vacanze, anziché il trolley per la Germania. Sono rimasti in 26, numero di convocati inaugurato nell’Europeo del 2021: quello itinerante ma soprattutto quello rinviato di un anno causa Covid, quello che è rimasto incastrato tra i due Mondiali (Russia 2018 e Qatar 2022) che gli azzurri hanno visto da spettatori.

    Oggi chi è Federico Chiesa?

    L’Europeo che la Nazionale ha iniziato a giocare in mascherina e poi si è smascherata in tutta la sua bellezza, con il trionfo di Wembley. Donnarumma che para il rigore decisivo e nemmeno se ne accorge. L’abbraccio e le lacrime tra Mancini e Vialli. Bonucci e Chiellini che fanno la trattativa Stato-Calcio per il bus scoperto. Insigne e ”o tir a gir”. Chiesa trascinatore dagli ottavi, quando segna il gol decisivo contro l’Austria, in poi.

    Tre anni fa era il Principe Azzurro, oggi chi è Federico Chiesa? Sull’orlo dei ventisette anni, età che fa rima con maturità, lo juventino è l’azzurro più forte del mazzo, sulla carta. Sul campo, dipende. Ha classe, ma. È eclettico, ma. Segna, ma. Il suo prospetto informativo è un elenco di tanti pregi con allegati altrettanti “ma”. Senza offesa. Anzi, con la segreta speranza di venir clamorosamente smentiti all’Europeo, Chiesa ha qualità discutibili. Nel senso che se ne può discutere con ampiezza di giudizio e senza pregiudizi. In altri tempi, ne avremmo riempito i giornali. Ci fosse stata una biblioteca, anche digitale, l’altro giorno a Coverciano sarebbe stato interessante sfogliare le pagine ingiallite dei dibattiti sui cinque “10” ospitati a Casa Azzurri.

    I dibattiti sui numeri 10

    Oggi icone all’unanimità di talento, ieri e l’altroieri la gente si azzuffava in discussioni senza fine. Gianni Rivera fu il simbolo della “staffetta” con Mazzola. A quei tempi, cinquant’anni e passa fa, non c’erano cinque sostituzioni. Un paio bastavano e avanzavano. Così l’Italia si tormentava nel dualismo che opponeva fazioni di tifosi milanisti e interisti. Finì con la beffa dei sei minuti, tanto iconici quanto inutili, giocati da Rivera nella finale Mundial 1970. L’allenatore si abbreviava ct, commissario tecnico. Era Ferruccio Valcareggi, il “nonno” di Spalletti. Per quella staffetta e quella spicciolata di minuti, oggi l’avremmo definito “democristiano”.

    Allora, no. Perché al governo c’era la Democrazia Cristiana e non era il caso di fare gli spiritosi, tanto meno sulla Nazionale. Qualche anno più tardi, con Giancarlo Antognoni, “unico 10” per la curva viola, la titolarità in azzurro non era un rettilineo senza curve. L’Italia giocava con il cosiddetto blocco Juve e si discuteva del fiorentino in contrapposizione a Zaccarelli, che era granata, quasi fosse un’Italia da geolocalizzare solo a Torino e zone limitrofe. Sfogliando i libri di storia, poi c’è stato Roberto Baggio che era un “9 e mezzo”, cioè l’evoluzione del talento sempre più vicino alla porta. E si discuteva anche di Baggio, come poi di Totti e Del Piero. Uno dei due o tutti e due? A beneficio dei giovani che non possono ricordare cronache d’epoca, sia chiaro che – non solo nel calcio – la storia poi la fanno i vincitori.

    Quindi Rivera sarebbe stato meglio titolare perché l’Italia perse la finale. Antognoni andava bene perfino rimpiazzato per infortunio da un difensore (Bergomi!) quando arrivò il titolo del 1982. C’è chi ci ha fatto una serie tv, Baggio, per sventolare il codino in faccia agli allenatori che non l’avevano compreso. Poi c’è Del Piero che ha sempre sorriso a distanza. E infine Totti che pure lui ci ha realizzato una serie, per metterci di mezzo proprio Spalletti, anche se la trama era nazionalpopolare, la location romanesca giallorossa e di azzurro Italia non si notava quasi nulla. Comunque se ne parlava. Si discuteva. Ci si divideva quando ancora non esisteva il verdetto di opinione “divisiva”. LEGGI TUTTO

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    Filippi, nuovo ruolo in casa Juve: Szczesny si arrabbia, Perin e Pinsoglio…

    Juve, Filippi: addio al ruolo di preparatore dei portieri

    Questo il post pubblicato su Instagram: “Finisce qui il mio percorso in Prima Squadra nella Juventus, durato ben 14 anni! Sono arrivato nel 2010 grazie a Gigi Del Neri a cui sarò eternamente grato. Voglio ringraziare la Proprietà e la Società Juventus, in primis, i Direttori che si sono susseguiti e gli Allenatori con i loro Staff per la fiducia riposta in me. Con il mio lavoro ho contribuito a oltre 700 partite ufficiali e alla conquista di 20 trofei (9 Scudetti, 6 Coppe Italia, 5 Supercoppe Italiane). La Juventus mi ha dato la possibilità di stare a contatto quotidianamente con grandi calciatori, ma soprattutto con Atleti/Portieri MERAVIGLIOSI per Motricità, Capacità Mentali, Capacità Tecniche, Capacità Fisiche e di aver dovuto escogitare allenamenti che li allenassero e li aiutassero a performare. Per un allenatore come me è stata un’emozione fortissima. Gigi, Tek, Mattia, Neto, Marco, Rubi, Alex, Emil, Carlo. Grazie! Grazie a Marco, a Duccio, a Daniele e a Tommaso che sono stati validi supporti in campo e non solo! Ancora un grazie a tutte le persone che compongono la galassia Juventus…ma non finisce qui! Proseguirò in Juventus con il ruolo di Responsabile dell’area portieri. Non mi rimane che dire…Fino alla Fine!”.

    Filippi cambia ruolo, la reazione di Szczesny

    Non sono mancati i tanti messaggi di stima rivolti a Claudio Filippi. A partire dai suoi portieri, in particolare Szczesny che ha reagito al post con una faccina arrabbiata, facendo capire tutte le sue emozioni e i suoi pensieri. Tanto affetto e stima anche da parte di Perin e di Pinsoglio. Applausi per il lavoro svolo anche da portieri che non hanno giocato con la Juve, come Sorrentino. E anche da parte dei tifosi i commenti sono stati molti: “Una notizia che fa male, preparatore storico e super competente, una grossa mano in questa era gloriosa della Juventus è anche tua!”. LEGGI TUTTO

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    L’ex Juve e quell’aneddoto su Marotta: “Ogni tanto gli facevo fare gol…”

    «Sarebbe troppo facile dire adesso: “Sì, me l’aspettavo”. In realtà le dico di no. Aveva certamente delle qualità importanti, si poneva degli obiettivi ed era ambizioso. E poi scegliendomi come primo acquisto del Varese ha dimostrato fin da subito di essere un grande dirigente (ride, ndr). Anche questa è una battuta (ride, ndr). L’esperienza comunque devi saperla mettere a frutto. Beppe ce l’ha fatta alla grandissima. Questa è la bravura di una persona in ogni lavoro. Avrà ovviamente sbagliato pure lui, come tutti del resto, ma è stato in grado di imparare e di dimostrare le sue doti».

    Oltre a lei, ne ha fatti poi tanti di grandi acquisti.

    «Ci siamo portati bene a vicenda».

    Quanto è stato importante Marotta nello scudetto dell’Inter?

    «Tantissimo, visti i problemi di Zhang che oramai, almeno da quanto si leggeva in giro, era in Cina da tempo. Il fatto di aver tenuti tutti uniti e di aver vinto lo scudetto della seconda stella è una cosa a cui si deve dare un gran merito, soprattutto a Beppe. E non va dimentica poi la finale di Champions League dello scorso anno».

    Marotta è la dimostrazione di come con lavoro, passione e abnegazione di possono centrare storici obiettivi.

    «I grandi risultati con Juventus e Inter hanno fatto sì che il suo lavoro fosse maggiormente sotto gli occhi di tutti Ma lui ha dimostrato la sua bravura sin dal 1980, pensi che col Varese, con una squadra di giovanissimi calciatori, sfiorammo la Serie A. Ha sempre fatto benissimo, vedi Monza, Atalanta, Sampdoria. Io non so se sia il più bravo di tutti nel suo mestiere, ma sicuramente è tra i più bravi».

    Un aggettivo per Marotta?

    «Capace, perché sa gestire perfettamente una cosa così importante come una società di calcio. La sua storia parla per lui». LEGGI TUTTO

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    Albertini: “Milan, Zirkzee per crescere non per vincere subito”

    MILANO – Demetrio Albertini gioca ancora. Non più a calcio. Ma a padel. Lo ha fatto a Tolcinasco, alle porte di Milano, con i 12 migliori giocatori di padel al mondo insieme ad altrettante stelle del calcio internazionale per la seconda edizione del Kyrrex Pro/Am organizzato da Nicola Amoruso. Tra una partita e l’altra ci parla del Milan. Demetrio iniziamo dalla fine, dall’addio di Pioli… “Stefano ha fatto molto, molto di più di quello che ci si sarebbe aspettati. Lui magari sarebbe rimasto volentieri un altro anno, ma la società ha scelto diversamente e ora bisogna guardare avanti”.Il presente si chiama Paulo Fonseca. “Ho letto delle sue statistiche: ha fatto tanti punti, ha fatto crescere i giovani. È uno che parla poco e spesso nel mondo del calcio quelli silenti non vengono giudicati per quello che sono. Sembra un allenatore propenso alla valorizzazione del patrimonio della società. Molto dipenderà anche dal mercato, dalla squadra che gli verrà costruita”. I tifosi del Milan però volevano Conte. “Ma non bastano gli allenatori per vincere. Ci vogliono anche i giocatori. De Laurentiis ha fatto probabilmente un’ammissione di colpa, e ha preso il migliore sul mercato. Poi se sarà il migliore lo diranno i risultati”. Tassotti ha detto che le reali ambizioni del Milan si capiranno dalle scelte di mercato. È d’accordo? “Quest’anno il Milan è stato fuori dai giochi quasi fin da subito eppure i tifosi non hanno mai smesso di riempire San Siro. Per questo la chiarezza è qualcosa di dovuto. Bisogna costruire qualcosa, puntare allo scudetto. Se sei il Milan non può bastare il quarto posto”. Prima di tutto serve un nove. “Manca da tanti anni, oggettivante serve un investimento. Non è così facile trovare sempre il Giroud di turno. È un ruolo delicato ma bisogna far crescere qualcuno perché da lì, dal numero 9 passano tutti i risultati di una squadra”.Zirkzee è già da Milan? “Bisogna chiedersi prima di tutto quale Milan? Dipende se è un Milan che deve crescere insieme per arrivare alla vittoria o un Milan che deve vincere subito”.Un tridente con lui, Pulisic e Leao le piace? “Sì: non serve solo l’esperienza, anche la spavalderia del giovane può essere molto importante e utile per accelerare un processo che ti porta poi a vincere”.Leao può essere finalmente il leader del Milan? “Deve solo lavorare sulla continuità, il suo talento lo conosciamo. Un leader lo si vede nello spogliatoio se lo è, non per forza in campo”. LEGGI TUTTO