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    Superga, il caso dell’aereo G.212 e quella tragedia a Roma 25 giorni prima

    “Il comandante restò sulla collina” racconta la storia di un pilota e della sua famiglia, l’ufficiale Pierluigi Meroni, pluridecorato eroe di guerra, con gli occhi del figlio Giancarlo, che aveva 7 anni quando il padre morì a Superga. L’avventurosa e affascinante (per quanto tragica) biografia romanzata si appoggia su una mole di ricerche storiche e d’archivio. La scrittura di Troiani è avvincente, appassionata, calda, mai banale e sempre fluente, in certi tratti poetica. L’ultimo capitolo, di carattere anche tecnico (l’autore si è avvalso della consulenza dell’autorevole generale dell’Aeronautica Militare Giancarlo Naldi), ricostruisce la tragedia, le inchieste e, dopo tre quarti di secolo, accende i riflettori anche su quegli altri cinque incidenti. Con Troiani, con un altro storico esperto della tragedia di Superga (il professor Stefano Radice: ne parleremo nella puntata di domani) e con la consulenza dell’avvocato Claudio Caminati del Foro di Torino abbiamo ricercato ulteriori fonti e documentazioni, oltreché, invano, le inchieste originarie e la sentenza del giudice istruttore.

    Grazie a questo lungo, faticoso, complicatissimo lavoro di ricerca siamo riusciti anche a scoprire che gli incidenti con G.212 andati distrutti sono stati in realtà otto, non soltanto sei. Due in più: 9 aprile 1949, 25 giorni prima di Superga, e 11 dicembre 1953. Professor Troiani, si sapeva per esempio che nell’aprile del 1948, un anno prima della tragedia di Superga, la squadra “ragazzi” del Torino (oggi diremmo: la Primavera), che era volata in Inghilterra per un torneo, rischiò la vita. Il pilota atterrò “lungo”, il velivolo non riuscì a fermarsi in tempo e finì la sua corsa contro un hangar. Nessun ferito, per fortuna. «Quasi un segno premonitore. Quel modello di aereo era evidentemente nato nel 1947 sotto una cattiva stella. Un G.212 cadde già l’anno dopo in Belgio: 8 vittime. Nel 1949 cadde a Roma in aprile e a Superga in maggio, e poi altre 5 volte in pochi anni. Mi risulta che l’azienda costruttrice smise di produrre i G.212, dopo averne realizzati 19».

    Oltre a ricordare le versioni ufficiali, il suo romanzo pone domande.

    «Al centro del romanzo c’è il figlio del pilota. Per 75 anni si è chiesto quali fossero le responsabilità paterne, senza trovare una sola perizia da cui partire per una risposta definitiva. Ricostruisce fatti nascosti o ignorati. Quasi la metà dei G.212 cadde in volo. Le autorevoli banche dati sui disastri aerei, Baaa e Asn, non sanno documentare nei dettagli la tragedia di Superga. Primo e secondo pilota, il capitano Pierluigi Meroni e il maggiore Cesare Bianciardi, si erano distinti con la Regia Aeronautica e Meroni era istruttore nazionale di volo cieco. Nel romanzo, il figlio rileva fatti e comportamenti sinora mai portati alla luce».

    Nel suo romanzo compaiono anche molte fonti giornalistiche dell’epoca.

    «Ho evocato una certa premura a voltare pagina, comportamenti di autorità gi a pochi minuti dallo schianto. Se il dirigente che sale a Superga, tra rottami fumanti e con 31 corpi straziati, si appella alla “concomitanza di imponderabili” e dice che “ogni mente umana” sarà incapace di trovare le ragioni dell’accaduto, sembra convinto dell’impossibilità di ricostruire dinamica e responsabilità dell’incidente e pone l’accento sulla commiserazione retorica: “Un caso veramente tragico, dinanzi al quale ci inchiniamo come aviatori e sportivi”. Nel romanzo, il figlio non l’accetta: i morti e i loro famigliari non meritano soltanto inchini, ma di sapere, di capire. Due giorni dopo, l’ingegnere del Registro aeronautico italiano dichiara di escludere ipotesi di avaria. La cabina di pilotaggio e i suoi strumenti sono un ammasso informe, sopravvive solo la coda. Nel romanzo mi chiedo: da dove tanta certezza?».

    Abbiamo visto su YouTube la presentazione del suo romanzo alla “Casa dell’Aviatore” di Roma. Il generale Mario Arpino, già capo di stato maggiore sia dell’Aeronautica Militare sia delle Forze Armate, racconta un’esperienza diretta che…

    «Si, e il generale è stato cosi gentile da inviarmi uno scritto sull’episodio: siamo nel 1957 a Pomigliano e ci si addestra sul G.212, che verr poi radiato e sostituito anche da macchine più vecchie. Una sezione del corso si era trovata in “rischio mortale”, ricorda il generale Arpino, perché “il velivolo (…) nelle nubi aveva stallato malamente e si era quasi rovesciato, perdendo parecchia quota. (…) Pare si fosse sovraccaricato rapidamente di ghiaccio fino a uscire di controllo”. Gli aviatori in addestramento ne erano scesi “terrorizzati”. E’ una testimonianza molto autorevole. Fa pensare».

    Lei pubblica in genere libri di politica internazionale. Cosa ha significato scrivere questo romanzo?

    «Nella narrativa non devi solo far ragionare, ma anche emozionare. Chi lo ha letto, mi ha detto che cosi succede. Il romanzo, che percorre la storia del pilota dentro la Storia del XX secolo italiano, racconta un’Italia sconosciuta ai più e solleva interrogativi su Superga».

    Lei ha già presentato il romanzo in diversi Toro Club. Dell’incontro con i tifosi dell’associazione “Picciotti del Toro” di Marsala scrisse anche Tuttosport.

    «Un’esperienza bellissima, anche sotto il profilo umano: mi accompagnò l’editore, Carlo Morrone, che è di Siracusa. Le presentazioni del romanzo con il popolo granata sono state emotivamente coinvolgenti. In una, a Crescentino, conobbi Franco Ossola, il figlio del campione del Grande Torino. Disse in pubblico che aveva letto il romanzo in una sola mattina, e ne era rimasto emozionato. Aggiunse di abbracciargli Giancarlo Meroni, l’82enne figlio del pilota. Di portargli l’affetto dei figli del Grande Torino, consapevoli che tutti hanno sofferto la stessa tragedia». LEGGI TUTTO

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    Platini: “I tifosi Juve sbagliano su Elkann. Ceferin-Infantino? Sono il niente”

    Buongiorno Platini, è pronto per la “Vialli e Mauro”?
    «Io non sono mai pronto, soprattutto di giocare a golf, ma sono felice, perché sono a Torino, perché c’è Massimo (Mauro, ndr), perché ricordiamo Gianluca (Vialli, ndr), perché ritrovo tanti amici. Chiederò a Massimo, dammi la data dell’anno prossimo che me la segno subito».
    Torna volentieri a Torino?
    «Sempre. È casa per me. Ho ancora degli amici e dovrei tornare più spesso».
    Ha visto la finale di Champions?
    «Soprattutto il primo tempo. Beh, come si dice? Si gioca in undici, c’è un pallone e alla fine vince il Real Madrid. Hanno un mix di esperienza, fortuna e campioni che li fa prevalere anche quando non sono i più forti. Nel primo tempo forse meritava il Borussia, ma quando hai la qualità del Real… Voglio dire: in fondo servono un portiere che para e un attaccante che segna, no? E quel Vinicius è fortissimo».
    Cosa pensa di Bellingham?
    «Sono sincero, l’ho visto poco quest’anno e non posso giudicarlo. Però è un centrocampista che segna molti gol, mi ricorda qualcuno (ride)».
    Guardiola o Ancelotti?
    «Non scelgo, sono due amici e sono eccezionali tutti e due. Due modi completamente differenti di interpretare il calcio, entrambi efficaci, anche se alla fine il City di Guardiola a volte mi ricorda la Roma di Liedholm dove giocava Ancelotti. Buffo no? Liedholm diceva: se il pallone ce l’abbiamo noi, non ce l’hanno gli altri, stessa filosofia del City».
    La sua Juventus però batteva sempre la Roma di Liedholm.
    «Ma quando Zibì è andato da loro, abbiamo beccato due volte 3-0! Quanto mi piaceva giocare a Roma ad aprile, mi ricordo lo stadio, il cielo meraviglioso, le battute dei romani che mi facevano sempre ridere. Sono dei momenti bellissimi della mia vita, magari non mi ricordo il risultato, ma mi ricordo l’ambiente. Lo sai, io sono sempre stato un po’ strano».
    Negli ultimi vent’anni il calcio è migliorato o peggiorato?
    «Mmmm è complicato. Per me il calcio come evento in uno stadio è migliorato, però i giocatori mi sembrano un po’ tutti uguali, un po’ stereotipati o, comunque, fatti perché in una squadra sia più importante l’allenatore rispetto ai calciatori che non osano più, non dribblano, non provano a inventare qualcosa, sono frenati dagli allenatori. Non è il calcio dei calciatori, ma il calcio degli allenatori oggi, con meno talento, meno fantasia, più corsa e posizionamento. Credo che si dovrebbe tornare un po’ al calcio dei calciatori, è più divertente. E poi ci sono sei/sette squadre che concentrano i migliori giocatori del mondo e questo è un po’ meno divertente, perché ai miei tempi erano più distribuiti. Poi, attenzione, il gioco rimane divertente, ci sono dei grandi campioni che mi divertono. Dopo però quando vedo un giocatore che entra in campo e l’allenatore gli mostra il foglio con gli schemi… beh, quello mi sta sulle palle: ma lascialo giocare, no?». LEGGI TUTTO

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    Nedved, 15 anni fa l’addio del Pallone d’Oro alla Juventus e al calcio

    Quella del 31 maggio non può essere una giornata qualunque nel mondo Juve. In questo giorno, esattamente 15 anni fa, Pavel Nedved dava l’addio al club bianconero e, in generale, al mondo del calcio. L’ultimo incontro disputato con la Lazio, una standing ovation emozionante, dedicata a chi ha contribuito alle vittorie della società, arrivando anche a vincere un Pallone d’Oro, e decidendo di restare visceralmente unito al mondo bianconero anche nell’anno della Serie B. Una carriera che lo ha portato a diventare (insieme ad Alex Sandro, che lo ha recentemente raggiunto) lo straniero con più presenze nella storia del club: insomma, una vera e propria leggenda della Juve.
    Nedved, 15 anni fa l’ultima gara con la Juve
    In una data così speciale, dunque, la Juventus sul proprio sito ha voluto omaggiare la ‘Furia Ceca’ con una lettera che non può che evocare grande nostalgia: “Il 31 maggio 2009, una domenica di primavera e di fine campionato rimasta nella memoria degli appassionati di calcio perché piena di addi speciali, di grandi leggende e campioni che quel giorno hanno disputato la loro ultima partita. Per chi ha il cuore bianconero come noi però, quella data è legata all’ultima partita con la maglia della Juventus – e della sua carriera – disputata da Pavel Nedved; il calciatore straniero con più presenza nella storia del club (al pari di Alex Sandro, che come lui ha raggiunto quota 327 proprio nell’ultima sfida di campionato in casa)”. LEGGI TUTTO

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    Terracciano mostruoso, El Kaabi riscrive il match: pagelle Olympiacos-Fiorentina

    Fiorentina
    Terracciano 7.5 Pronti via e subito scalda i guantoni sull’affondo di Podence, sfodera coraggio a tu per tu su El Kaabi, pronto sul velenoso affondo di Jovetic. Una sicurezza.
    Dodo 6 Si sgancia spesso in avanti e si mostra reattivo nei duelli con gli avversari, anche se appare un po’ leggero in qualche disimpegno. Pare dolorante, poi si rianima nel finale.
    Milenkovic 7 Segna in apertura ma il gol viene annullato per fuorigioco, ci prova di testa nella ripresa, il suo compito maggiore però è tenere a bada il minaccioso El Kaabi.
    Quarta 6.5 Già alla vigilia era favorito su Ranieri, l’apporto è irruente (prende subito un giallo) però si rivela alla fine prezioso. E come ormai ha abituato l’argentino ogni tanto si imbuca in avanti.
    Biraghi 6 Animato da una gran voglia di rivalsa dopo l’amarezza di un anno fa, cuore e impegno non bastano. Cala fisicamente. 
    Arthur 5.5 Decisivo con il rigore a Cagliari al 103’ che ha dato la vittoria alla Fiorentina e blindato l’8° posto, stavolta il brasiliano non si conferma. Prestazione sotto tono.
    Duncan (29’ st) 5.5 Non aiuta come sperava il suo allenatore.
    Mandragora 5.5 Entra per riscattare l’errore commesso nella finale di Praga, fa più densità che gioco in mezzo al campo. Ma il suo lavoro è troppo oscuro
    Gonzalez 5 L’uomo più atteso non riesce ad accendersi. Mai un guizzo dei suoi. Quando nel finale di gara Italiano lo sposta a sinistra sembra non gradire.
    Bonaventura 5.5 Preferito a Beltran inizia con le migliori intenzioni. Sciupa una buona chance al 20’ e ciò finisce per condizionare la sua prestazione sempre più stanca.
    Barak (37’ st) 5.5 Impalpabile
    Kouamé 6 Italiano l’ha fatto rifiatare nelle ultime gare per poter sfruttare la sua velocità. L’ivoriano corre tanto ed è fra i più propositivi, forse arriva stanco nell’occasione fallita nel secondo tempo.
    Ikoné (37’ st) 6 Impegna il portiere avversario nei supplementari.
    Belotti 5.5 Tocca pochi palloni e pochi gliene arrivano. Sul piano dell’impegno nulla da eccepire, esce dolorante dopo uno scontro testa contro testa con Retsos.
    Nzola (14’ st) 6 Subito una sponda invitante per Kouamé.
    All. Italiano 5 L’ha sognata, inseguita, sudata. Nel momento più importante viene tradito dai senatori e dagli uomini di maggiore qualità. Alcune scelte non paiono all’altezza e la sua squadra chiude stanchissima.
    ARBITRO Soares Dias 5.5 Dirige come dovrebbe fare un arbitro in una finale europea. Con personalità e autorevolezza. Farà parte dei fischietti che parteciperanno all’Europeo di giugno/luglio in Germania. E c’è il dubbio del mancato intervento sul fallo subito da Milenkovic prima del gol da parte di El Kaabi. LEGGI TUTTO

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    Diretta Olympiacos-Fiorentina ore 21: dove vederla in tv, in streaming e probabili formazioni

    Dall’altro lato Mendilibar ha messo in guardia i suoi dichiarando che si aspetta una gara più aperta rispetto alla finale di Europa League che ha vinto l’anno scorso con il Siviglia contro la Roma. Grande attesa anche per l’ex di giornata, Stefan Jovetic.
    Segui la diretta di Olympiacos-Fiorentina su Tuttosport.com
    Dove vedere Olympiacos-Fiorentina: diretta tv e streaming
    La finale di Conference League tra Olympiacos e Fiorentina si disputerà all’AEK Arena di Atene, in Grecia, e il calcio d’inizio è previsto per le 21. Sarà possibile seguire il match in diretta tv su DAZN, Sky Sport 1 (201), Sky Sport Arena (204), Sky Sport (253) e Tv8. La finale sarà trasmessa anche in streaming sulle rispettive applicazioni DAZN, SkyGo e Now.
    Guarda Olympiacos-Fiorentina su DAZN. Attiva ora.
    Olympiacos-Fiorentina: le probabili formazioni
    OLYMPIACOS (4-3-3): Tzolakis; Rodinei, Retsos, Carmo, Ortega; Chiquinho, Iborra, Hezze; Podence, El Kaabi, Fortounis. Allenatore: Mendilibar.A disposizione: Paschalakis, Papadoudis, Quini, Richards, Ntoi, Camara, Horta, Alexandropoulos, Joao Carvalho, El-Arabi, Masouras, Jovetic.
    Indisponibili: nessuno.Squalificati: nessuno.Diffidati: nessuno.
    FIORENTINA (4-2-3-1): Terracciano; Dodo, Milenkovic, Martinez Quarta, Biraghi; Arthur, Mandragora; Nico Gonzalez, Bonaventura, Kouame; Belotti. Allenatore: Italiano.A disposizione: Christensen, Comuzzo, Ranieri, Faraoni, Kayode, Lopez, Duncan, Infantino, Barak, Beltran, Nzola, Ikoné.
    Indisponibili: Castrovilli, Sottil.Squalificati: nessuno.Diffidati: nessuno.
    ARBITRO: Soares Dias (Portogallo). ASSISTENTI: Soares-Ribeiro. QUARTO UFFICIALE: Nyberg (Svezia). VAR: Martins. ASS. VAR: Dingert (Germania).
    Olympiacos-Fiorentina: scopri tutte le quote LEGGI TUTTO

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    Serbia, i convocati per Euro 2024: Vlahovic, Kostic e altri 5 “italiani”

    Manca sempre meno alll’inizio degli Europei in Germania e alcune nazionali hanno già diramato la lista dei convocati per i vari raduni in attesa di scegliere poi quella ufficiale. Nella giornata odierna è toccato al Ct della Serbia, Dragan Stojkovic, scegliere i 26 calciatori in vista della competizione. Diversi i giocatori ‘italiani’ presenti, tra cui sono stati chiamati anche Kostic e Vlahovic della Juventus, ma non solo. La prima sfida della rassegna per i serbi sarà contro l’Inghilterra il 16 giugno, a seguire poi le gare contro Slovenia (20 giugno) e Danimarca (25 giugno).  LEGGI TUTTO

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    Un trofeo, una stagione, il passato va e il futuro riparte: un anno di Juve

    Nel dibattito social la Juve trasformata è l’effetto Magnanelli, ex valido giocatore del Sassuolo e nuovo membro dello staff tecnico bianconero. È lui ad avere cambiato la mentalità di questa squadra, rendendola offensiva e coraggiosa. È bello credere che sia così, il mix tra l’esperienza del tecnico e l’entusiasmo del nuovo collaboratore ma le prime certezze crollano già alla seconda, quando il Bologna viene a Torino a imporre il proprio gioco e pareggiamo soffrendo: sembra bravo, il loro tecnico, seguiamolo con attenzione.
    Tornano vittorie e gol contro Empoli e ancor più con la Lazio, nella giornata in cui Vlahovic e Chiesa sembrano inarrestabili e viene da chiedersi come possa andare la stagione, se la coppia continuerà così. Nuova illusione e nuovo brutto risveglio, perché a Sassuolo sembriamo in gita, Berardi “striscia” su Bremer e noi per tutta risposta ci facciamo gol da soli finché non consegniamo la vittoria ai neroverdi. Il lungo periodo delle tante feste, quasi sempre meritate anche se costantemente sofferte, talvolta risolte all’ultimo istante e sono proprio quelle le immagini più felici: Cambiaso contro il Verona dopo un assedio, sbracciate, Var, furbate, gol annullati e pali; Gatti a Monza dopo avere subito il pareggio un minuto prima, a partita ormai quasi finita. Quasi, perché questo è il periodo in cui il fin troppo abusato “fino alla fine” assume un senso sul serio. Non siamo fantastici ma fare punti contro di noi è tornato difficile, batterci quasi impossibile.
    Voglia, orgoglio, adrenalina: la Juve non si ferma. È qui che Allegri alza l’asticella: obiettivo Champions, ok, ma frecciatine a chi sta sopra di noi e vince soffrendo, a volte con episodi fortunati; le guardie, i ladri, il paraocchi, fino a quel match con l’Empoli in cui teniamo fuori chi è diffidato e il ragazzo prodigio, quell’Yildiz che a tratti ci ha ricordato l’innominabile, perche la settimana prossima arriva la sfida con l’Inter. Come se contro i toscani fosse scontata, come se ormai la lotta scudetto fosse definitivamente a due e invece no, altro risveglio, il più doloroso, quello che si rivelerà definitivo, perché Milik al contrario di Berardi (e Malinovskyi proprio sul turco qualche settimana dopo) non striscia, viene espulso, segniamo comunque ma arretriamo, arretriamo, arretriamo fino a che non preghiamo Baldanzi di tirare dal limite senza avversari e piazzarla nell’angolo, perche se arretriamo ancora usciamo dallo studio.
    Andiamo a San Siro e lì possiamo pure raccontarci che “se Vlahovic…” ma Dusan c’entra poco se viviamo la partita nella nostra metà campo, senza la forza o magari senza il coraggio e l’ambizione. La caduta continua, perdiamo con l’Udinese e i paraocchi, le guardie e i ladri sono ormai solo ricordi lontani, arrivano i mesi in cui i punti, forse per solidarietà con la stagione precedente, decidiamo di toglierceli da soli: non vinciamo (quasi) mai, non perdiamo (quasi) mai, si vivacchia senza morire del tutto ma che vita è quella di chi sembra avere voglia di giocare solo un tempo su due anche se ha a disposizione solo una partita a settimana? Di chi non ottiene risultati eppure non cambia, non rischia, si fa dominare dalla paura di crollare più che dell’orgoglio di reagire?
    Una Coppa vinta bene, anzi benissimo, contro una squadra in forma strepitosa, l’emozione di rialzare un trofeo di fronte a un popolo finalmente riunito ma dura poco, succede quel che succede, addio a Max e tocca a Montero: soffriamo nel vederlo, nel vederci umiliati a Bologna; è un sollievo vederlo, vederci reagire ed esultare come se fosse una finale, come se avessimo vinto e non pareggiato. L’ultima immagine deve essere simbolica: potrebbe essere il Var che, nel recupero dell’ultima partita, interviene per un rigore per gli altri ma ahimè niente da fare, se la colpiscono di mano non vale. Sarebbe adatto anche Chiesa, che ha aperto e chiuso un campionato vissuto a fasi alterne nello stesso modo, con due gol da campione, e speriamo di vederne altri in futuro con la stessa maglia. Se la meriterebbe anche Alex Sandro, simbolo delle difficoltà di questi ultimi anni ma anche dello splendore che fu. L’immagine finale, mentre la Juve batte il Monza e sa che in pochi mesi cambierà quasi tutto, che la società dovrà rafforzarsi, che il nuovo tecnico dovrà rispettare le nostre (alte) aspettative, che il mercato sarà importante perché dobbiamo migliorare un po’ ovunque, è tuttavia un altro. È un ragazzo cresciuto da noi che gioca con classe, si muove in modo elegante, prende una traversa, manda Chiesa in porta e poi esce tra gli applausi, non rendendosi forse neanche conto di quanto ci sia mancato. E allora buon lavoro, Juve. Coraggio, Nicolò. È tempo, finalmente, di riprendere la corsa. LEGGI TUTTO

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    Koopmeiners-Juve, assist da… un compagno di squadra. Soulé, cosa pensa Motta

    Positivi i contatti con l’agente Bart Baving col quale si è già discusso di un possibile accordo quinquennale da 4,5 milioni netti a stagione. Un bel passo avanti, economicamente parlando, per Koop che a Bergamo ne guadagna 2,8. Lavori in corso ora per cercare una quadra pure con la dirigenza nerazzurra. La famiglia Percassi, infatti, chiede 60 milioni e non vorrebbe inserire contropartite nell’affare; mentre la Juve è ferma a 45. La distanza può essere colmata da Giuntoli solo in due modi: o attraverso l’inserimento di una contropartita (Dea al momento tiepida su Miretti; mentre su Hujsen e Soulé c’è ancora distanza sulla valutazione) o facendo cassa con la cessione di qualche giovane talento.Occhio quindi in tal senso all’interesse di Borussia Dortmund e Newcastle per il difensore classe 2005. Dovessero arrivare proposte nell’ordine dei 30 milioni, Huijsen verrebbe ceduto. Il fantasista argentino merita un capitolo a parte: Motta lo stima molto e Mati vorrebbe giocarsi le proprie chance alla Continassa. Qualora però dalla Premier si facessero avanti con 35-40 milioni, il classe 2003 finirebbe tra i cedibili. Denari preziosi da reinvestire proprio su Koopmeiners. Magari prima che un grande Europeo con la Nazionale olandese lo lanci in orbita, facendo lievitare ancor di più il prezzo del suo cartellino. LEGGI TUTTO