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    Toro-Vanoli, si parte così: l’Europa come missione

    TORINO – Definirlo un obbligo sarebbe una forzatura, sotto alcuni aspetti anche un po’ ingenerosa. Per cui la parola giusta non ci pare questa. Missione: ecco, missione può essere un termine più appropriato. Rende il senso, esprime l’intenzione e la tensione, ma consente anche un margine di movimento meno ristretto, meno soffocante nella categoria del tempo, se non dello spazio. E Paolo Vanoli vuole dimostrare di avere grandi pure i polmoni, non solo le spalle. Da oggi comincerà ufficialmente il ciclo in granata: si attende l’annuncio (poi, lunedì, il sopralluogo al Fila: resterà a Torino per un paio di giorni). Tutto pronto: accordo biennale fino al 2026, con opzione al favore del club per il prolungamento di 12 mesi. Stipendio da un milione abbondante netto (350 mila euro in più rispetto a Venezia), con premi variegati tra la qualificazione a una Coppa europea e la vittoria della Coppa Italia.
    Toro: Vanoli per tornare in Europa
    Finora, in 19 anni di Cairo, si sono mandate a memoria due qualificazioni oltreconfine, nel 2014 per via del dissesto parmigiano (ottavi di Europa League) e nel 2019 (post stop internazionale del Milan) con mancato superamento della finale playoff sempre di Europa League. Quest’anno il Toro ci è andato vicino, sarebbe stato di nuovo per grazia ricevuta, ma stavolta con oggettivi meriti sportivi legati all’allineamento dei pianeti, mai così tante squadre italiane nelle Coppe: sarebbe bastato che la Fiorentina avesse vinto la Conference per lasciare il posto nella terza competizione europea ai granata, noni in A.
    Si odono solo i ripianti: gli 0 a 0 in casa contro Verona e Salernitana, o a Frosinone, o la sconfitta di Empoli. È l’eredità in chiaroscuro di Ivan Juric: un gran lavoro di semina e crescita in 3 anni tra plusvalenze e clean sheet, il friccicore della prima stagione, quindi la transizione sulla linea di galleggiamento, infine le enormi contraddizioni dell’ultimo anno, ivi compresa la crescente incomunicabilità (eufemismo) con il mondo del tifosi. Paolo Vanoli, 51 anni, 3 in più di Ivan, porterà di sicuro una ventata di novità. Già lo ha fatto in forma indiretta per settimane, mesi, fin da quando è diventato di dominio pubblico l’interesse del Torino per lui (la rivelazione su queste colonne a metà gennaio), sino all’accelerata dell’ultimo mese (accordi trovati prim’ancora che cominciassero i playoff con il Venezia. Anche in laguna aveva un contratto sino al 2026).
    Comunicato della società neopromossa in A, ieri mattina: “Il Venezia comunica di aver raggiunto l’accordo per la risoluzione consensuale del contratto di Paolo Vanoli. Il Venezia ringrazia con affetto Paolo Vanoli, e tutto il suo staff, per i risultati ottenuti con la prima squadra, con la quale ha raggiunto i playoff di Serie B nella sua prima stagione dopo una fantastica rimonta e ha ottenuto nel campionato seguente una promozione in Serie A che resterà nella storia del club. Grazie al suo temperamento ed alla sua professionalità, Vanoli ha saputo incarnare lo spirito del Venezia, valorizzando la rosa e contribuendo in maniera decisiva alla creazione del forte legame tra il club e la tifoseria arancioneroverde. Buona fortuna, mister”.
    Allievo di Sacchi e vice di Conte: chi è Vanoli
    Da oggi, dunque, il Torino potrà svelare urbi et orbi l’ultimo segreto di Pulcinella, con la ceralacca del notaio. Vanoli arriva motivato in modo superiore alla media, fin dai primi momenti del corteggiamento di Vagnati aveva reagito con entusiasmo, a Venezia poi ha continuato a fare il suo per raggiungere la A, ma in ogni caso il richiamo del Torino aveva già da tempo fatto breccia. Arriverà carico a pallettoni, come si dice, e desideroso di mettere piede nel mondo granata con buone dosi di encomiabile umiltà. Dovrà anche imparare: la sensibilità dei tifosi e la fame che sentono a morsi da decenni. Qui si tratta innanzi tutto di allungare mani. E Vanoli è tutto fuorché una persona miope o presuntuosa: siamo convinti che non sbaglierà le mosse di avvicinamento. Arriva stramotivato, ma anche con l’etichetta di pupillo di Vagnati.
    Perché il suo approdo è figlio della stima nutrita per lui dal dt. Cairo si è convinto strada facendo. Poteva, può preoccuparlo l’inesperienza del tecnico in A (debutterà col Toro), ma conosce bene il suo percorso vincente: 7 anni da allievo di Sacchi come ct o vice ct di tutte le nazionali giovanili (due volte vicecampione d’Europa) fino alla collaborazione con Ventura in azzurro, poi vice di Conte al Chelsea e all’Inter (una Coppa d’Inghilterra e uno scudetto), quindi il lavoro da primo allenatore: la Coppa di Russia vinta con lo Spartak Mosca e il biennio straordinario di Venezia. Ha le stigmate di un tecnico ancora giovane e in ascesa da anni. Quanto rampante e quanto capace di digerire i tempi e i modi del cairismo, invece, lo si vedrà man mano. Cairo chiede al suo ciclo quella benedetta Europa, già un po’ leggendaria come il Robaldo. Vanoli ci spera. Ma poi dipenderà pur sempre da che rosa gli daranno. E pure quando. E da quanti talenti alla Buongiorno gli leveranno da sotto i piedi. In bocca al lupo, insomma. LEGGI TUTTO

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    Toro, da Schuurs a Zapata: i 6 che non devono partire, gli incedibili di Vanoli

    L’allenatore non porrà condizioni su Alessandro Buongiorno: lo considera ovviamente uno dei più forti e promettenti difensori italiani, tuttavia sa bene che davanti a una proposta all’altezza il sacrificio del centrale diventerebbe fisiologico. Si parla, infatti, di 40-45 milioni, cifra che permetterebbe al club di agire con tranquilità ed efficacia sul mercato per costruire una squadra all’altezza della situazione. Anche perché sono note le giuste ambizioni del centrale azzurro, che, dopo aver rifiutato nello scorso agosto l’Atalanta, adesso accetterebbe una cessione a un grande club, in primis l’Inter, destinazione preferita. Tuttavia, per quanto riguarda la difesa, Vanoli porrà il veto alla cessione di Perr Schuurs, convinto che, non appena l’olandese si sarà ripreso dalla lunga convalescenza post operatoria, tornerà al centro del progetto difensivo, così come era nelle intenzioni di Ivan Juric già nella stagione da poco terminata.
    Toro, le mosse mercato
    Zapata è blindato
    Questa, dunque, è la prima richiesta che farà. Poi, ovviamente, ce ne saranno altre. In sostanza, della lista degli incedibili fanno parte sei giocatori. Dopo l’olandese c’è Raoul Bellanova: il turbo destro è considerato fondamentale. Per lui sono arrivate numerose richieste, alcune anche molto intriganti, ma il tecnico non intende liberarlo per niente al mondo. In questo momento, infatti, il granata è uno dei più forti esterni del campionato italiano e lo stesso Spalletti sfrutterà le sue caratteristiche nell’Europeo, anche se questa sera dovrebbe farlo partire dalla panchina. Naturalmente pure Duvan Zapata è blindato. I gol realizzato nell’ultimo campionato (ben 12) sono una garanzia. L’attaccante, grazie alla sua straordinaria determinazione e all’eccellente lavoro dei preparatori atletici, ha prima raggiunto e poi mantenuto una condizione fisica notevolissima alla faccia dei 33 anni.
    Ricci, Linetty e Gineitis importanti per Vanoli
    Il quarto della lista è Samuele Ricci, centrocampista che si sposa alla perfezione con il gioco di Vanoli. Anche lui ha delle richieste, anche lui non si muoverà da Torino. Ivan Ilic si può sacrificare se al Toro arriveranno i 16 milioni sborsati al Verona (piace in Premier League), Ricci invece no. Sempre per rimanere a centrocampo, Vanoli considera importanti Karol Linetty e Gvidas Gineitis, due che lottano e che coprono le diverse zone del campo con forza e intelligenza. A proposito: il giovane lituano, ventenne, è uno dei granata ad aver avuto più richieste, sia dall’Italia sia dall’estero, comprese alcune da società molto importanti. Evidentemente in questa stagione, nonostante le poche presenze, ha lasciato il segno. Di sicuro ha ancora un ampio margine di miglioramento e il Toro se lo terrà stretto. Vanoli lo stima molto ed è convinto di migliorarlo sotto tutti i punti di vista. LEGGI TUTTO

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    Vanoli, sfida finale: Toro-Venezia, intesa in arrivo?

    Di Francesco verso Venezia
    Il succo? I vertici del club veneto sono riusciti a frenare l’assalto avviato dall’Empoli nei giorni scorsi per l’ex tecnico del Frosinone (sarebbe rimasto alla guida dei laziali solo in caso di salvezza: sarebbe scattato il diritto automatico di prolungamento fino al ‘25) e stanno ora cercando di chiudere una buona volta l’intesa con l’allenatore pescarese, mentre la società toscana (destinata a perdere Nicola: accordo trovato con il Cagliari) si sta già orientando verso altre piste. Accomunare idealmente Di Francesco e Vanoli ha un senso, eccome, per motivi sia strategici sia regolamentari: dobbiamo di nuovo parlare di effetto domino, insomma. Effetto domino che stavolta appare dietro l’angolo.
    Vanoli-Torino: fumata bianca
    Partiamo da una precisazione e da un promemoria. La precisazione: la fumata bianca per Vanoli al Torino non è assolutamente in dubbio, ormai è soltanto una questione di tempo (domani, al più tardi entro lunedì, come detto). Il promemoria: il Torino ha già un accordo blindato da parecchio tempo con il tecnico in uscita dal Venezia (contratto fino al 2026, più opzione per un prolungamento di ulteriori 12 mesi; un milione netto di ingaggio più bonus in caso di qualificazione a una Coppa europea o di vittoria della Coppaa Italia. Rispetto al legame in essere con i lagunari, 300 mila euro in più di stipendio fisso a stagione). E adesso andiamo avanti.
    Le parole di Antonelli
    Il Venezia, atterrato lungo sul problema della sostituzione di Vanoli, è vicino a chiudere l’accordo con Di Francesco, adesso (Zaffaroni prima alternativa, nel caso). Adesso, cioè a quasi due settimane dalla conquista della Serie A e nonostante fosse risaputo da mesi l’interesse concreto del Torino per Vanoli (su questo giornale fu svelato in esclusiva addirittura a metà gennaio…). In ogni caso, la società veneta sta finalmente portando a casa la soluzione tanto attesa. Lo stesso ds arancioneroverde, Antonelli, appena 48 ore fa ammetteva: «Di Francesco ci interessa, ma prima dobbiamo risolvere la questione Vanoli». Appunto. Affinché il Venezia possa mettere ufficialmente sotto contratto Di Francesco, corteggiato ormai da una decina di giorni in crescendo, deve necessariamente aver prima risolto il contratto con Vanoli (oppure esonerarlo, cosa peraltro irrealistica): le regole sono regole e le regole sono queste. I vertici della società hanno ovviamente urgenza di chiudere e blindare l’accordo con Di Francesco, giunti a questo punto, proprio per evitare il rischio di perderlo in extremis per colpa di qualche sorpasso a destra. Devono, di conseguenza, trovare anche un’intesa preventiva col Torino per Vanoli, su cui pende (come ben si sa) una clausola rescissoria di un milione. Cairo e di conseguenza Vagnati, tuttavia, non hanno affatto intenzione di spendere quel milione, avendo già in mano da tempo l’allenatore, non più…“presentabile” a Venezia per la prossima stagione.
    La contropartita del Torino
    Si sa, finora il Torino ha cercato di abbassare il più possibile la cifra, inserendo una contropartita. La più chiacchierata? Il prestito oneroso con diritto di riscatto e controdiritto del terzino destro 20enne Dembelé, innanzitutto (di proprietà granata), che il Venezia vuole tenere dopo la stagione in prestito puro. Ma Vagnati ha messo sul piatto anche il prestito oneroso del centrocampista coetaneo ?lkhan o del 22enne jolly offensivo Horvath, in alternativa. O la cessione a titolo definitivo al Venezia di Seck oppure di Karamoh, entrambi in scadenza già nel ‘25 e fuori dai programmi futuri del Torino. Non solo: Vagnati ha provato pure a inserire nelle trattative con il Venezia l’acquisto del difensore centrale (nazionale indonesiano) Idzes, 24 anni, pupillo di Vanoli e pure lui protagonista della splendida cavalcata del Venezia fino in A.
    Il nodo della clausola rescissoria
    Tuttavia, le due società non si sono mai trovate d’accordo sulle valutazioni economiche da dare ai vari giocatori. Per cui si è tornati al braccio di ferro, tra tensioni anche crescenti. Anche ieri il Venezia ha ribadito di volere quel milione per la clausola rescissoria di Vanoli. Dal canto suo, il Torino ha replicato proponendo una formula che è parsa persino provocatoria ai lagunari: offerta di 400 mila euro al Venezia ma non cash, bensì sempre e solo attraverso una delle contropartite di cui sopra. E nessun conguaglio. E allora? Parti lontanissime e intesa rimandata a chissà quando? No, perché questo scontro tra i due club nelle ultime 48 ore appare ben più realisticamente e logicamente come un braccio di ferro attendista in vista di una partita finale, di trattative per l’appunto finali. Al Venezia perché se no rischia di perdere Di Francesco, strada facendo. Al Torino, appunto per dare vita anche ufficialmente al nuovo ciclo con Vanoli.
    I problemi da risolvere
    E cosa si scopre, adesso? Che oggi Vagnati e Antonelli torneranno a incontrarsi per fare di conto e provare a trovare una soluzione sì utile al Torino, ovviamente, ma persino più necessaria e ben più urgente per il Venezia, altrimenti impossibilitato a chiudere con Di Francesco. E allora si tornerà a parlare anche di possibile contropartite. Piaccia o non piaccia, insomma, il club granata sta facendo il proprio gioco, sfruttando scientemente le difficoltà del Venezia per cercare di abbassare il più possibile la cifra della clausola. Vedremo se già oggi i veneti accetteranno per forza un compromesso meno vantaggioso rispetto a quel milione di partenza della clausola, oppure se continueranno nel braccio di ferro col Torino. L’irritazione (eufemismo) dei veneti soprattutto con Vanoli ma anche per il modus operandi del club granata è, in ogni caso, altamente significativa. LEGGI TUTTO

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    Calafiori, Fenucci fa barricate: “Abbiamo chiamato l’agente, resta a Bologna”

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    Chiesa, il più forte dell’Italia ma al bivio Juve: incognita azzurra perché…

    Siccome dopo sono “tutti bravi dal divano” (cit Dazn), qui si prova a esser bravi prima. Se possibile, prima che sia troppo tardi, perché all’Europeo manca poco, appena una settimana al debutto con l’Albania. È il momento dei consigli (non richiesti) a Spalletti. Un’avventura. Pericolosa non perché il ct sia permaloso, anzi. Tutt’altro. È felicemente tormentato dalle sue scelte, ma pure serenamente convinto di aver deciso al meglio. Decisioni che sono partite dal listone dei 30, dove qualcuno tipo Immobile non ha passato neanche le qualifiche. Altri come Pessina e Biraghi ci sono andati vicino, ma “vicino” non conta. E poi Locatelli e Bonaventura sono usciti al penultimo giro.

    Gatti invece è rientrato alla penultima curva per la sfortuna di Acerbi e Scalvini. E ieri Provedel, Ricci e Orsolini hanno preparato la valigia per le vacanze, anziché il trolley per la Germania. Sono rimasti in 26, numero di convocati inaugurato nell’Europeo del 2021: quello itinerante ma soprattutto quello rinviato di un anno causa Covid, quello che è rimasto incastrato tra i due Mondiali (Russia 2018 e Qatar 2022) che gli azzurri hanno visto da spettatori.

    Oggi chi è Federico Chiesa?

    L’Europeo che la Nazionale ha iniziato a giocare in mascherina e poi si è smascherata in tutta la sua bellezza, con il trionfo di Wembley. Donnarumma che para il rigore decisivo e nemmeno se ne accorge. L’abbraccio e le lacrime tra Mancini e Vialli. Bonucci e Chiellini che fanno la trattativa Stato-Calcio per il bus scoperto. Insigne e ”o tir a gir”. Chiesa trascinatore dagli ottavi, quando segna il gol decisivo contro l’Austria, in poi.

    Tre anni fa era il Principe Azzurro, oggi chi è Federico Chiesa? Sull’orlo dei ventisette anni, età che fa rima con maturità, lo juventino è l’azzurro più forte del mazzo, sulla carta. Sul campo, dipende. Ha classe, ma. È eclettico, ma. Segna, ma. Il suo prospetto informativo è un elenco di tanti pregi con allegati altrettanti “ma”. Senza offesa. Anzi, con la segreta speranza di venir clamorosamente smentiti all’Europeo, Chiesa ha qualità discutibili. Nel senso che se ne può discutere con ampiezza di giudizio e senza pregiudizi. In altri tempi, ne avremmo riempito i giornali. Ci fosse stata una biblioteca, anche digitale, l’altro giorno a Coverciano sarebbe stato interessante sfogliare le pagine ingiallite dei dibattiti sui cinque “10” ospitati a Casa Azzurri.

    I dibattiti sui numeri 10

    Oggi icone all’unanimità di talento, ieri e l’altroieri la gente si azzuffava in discussioni senza fine. Gianni Rivera fu il simbolo della “staffetta” con Mazzola. A quei tempi, cinquant’anni e passa fa, non c’erano cinque sostituzioni. Un paio bastavano e avanzavano. Così l’Italia si tormentava nel dualismo che opponeva fazioni di tifosi milanisti e interisti. Finì con la beffa dei sei minuti, tanto iconici quanto inutili, giocati da Rivera nella finale Mundial 1970. L’allenatore si abbreviava ct, commissario tecnico. Era Ferruccio Valcareggi, il “nonno” di Spalletti. Per quella staffetta e quella spicciolata di minuti, oggi l’avremmo definito “democristiano”.

    Allora, no. Perché al governo c’era la Democrazia Cristiana e non era il caso di fare gli spiritosi, tanto meno sulla Nazionale. Qualche anno più tardi, con Giancarlo Antognoni, “unico 10” per la curva viola, la titolarità in azzurro non era un rettilineo senza curve. L’Italia giocava con il cosiddetto blocco Juve e si discuteva del fiorentino in contrapposizione a Zaccarelli, che era granata, quasi fosse un’Italia da geolocalizzare solo a Torino e zone limitrofe. Sfogliando i libri di storia, poi c’è stato Roberto Baggio che era un “9 e mezzo”, cioè l’evoluzione del talento sempre più vicino alla porta. E si discuteva anche di Baggio, come poi di Totti e Del Piero. Uno dei due o tutti e due? A beneficio dei giovani che non possono ricordare cronache d’epoca, sia chiaro che – non solo nel calcio – la storia poi la fanno i vincitori.

    Quindi Rivera sarebbe stato meglio titolare perché l’Italia perse la finale. Antognoni andava bene perfino rimpiazzato per infortunio da un difensore (Bergomi!) quando arrivò il titolo del 1982. C’è chi ci ha fatto una serie tv, Baggio, per sventolare il codino in faccia agli allenatori che non l’avevano compreso. Poi c’è Del Piero che ha sempre sorriso a distanza. E infine Totti che pure lui ci ha realizzato una serie, per metterci di mezzo proprio Spalletti, anche se la trama era nazionalpopolare, la location romanesca giallorossa e di azzurro Italia non si notava quasi nulla. Comunque se ne parlava. Si discuteva. Ci si divideva quando ancora non esisteva il verdetto di opinione “divisiva”. LEGGI TUTTO

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    Filippi, nuovo ruolo in casa Juve: Szczesny si arrabbia, Perin e Pinsoglio…

    Juve, Filippi: addio al ruolo di preparatore dei portieri

    Questo il post pubblicato su Instagram: “Finisce qui il mio percorso in Prima Squadra nella Juventus, durato ben 14 anni! Sono arrivato nel 2010 grazie a Gigi Del Neri a cui sarò eternamente grato. Voglio ringraziare la Proprietà e la Società Juventus, in primis, i Direttori che si sono susseguiti e gli Allenatori con i loro Staff per la fiducia riposta in me. Con il mio lavoro ho contribuito a oltre 700 partite ufficiali e alla conquista di 20 trofei (9 Scudetti, 6 Coppe Italia, 5 Supercoppe Italiane). La Juventus mi ha dato la possibilità di stare a contatto quotidianamente con grandi calciatori, ma soprattutto con Atleti/Portieri MERAVIGLIOSI per Motricità, Capacità Mentali, Capacità Tecniche, Capacità Fisiche e di aver dovuto escogitare allenamenti che li allenassero e li aiutassero a performare. Per un allenatore come me è stata un’emozione fortissima. Gigi, Tek, Mattia, Neto, Marco, Rubi, Alex, Emil, Carlo. Grazie! Grazie a Marco, a Duccio, a Daniele e a Tommaso che sono stati validi supporti in campo e non solo! Ancora un grazie a tutte le persone che compongono la galassia Juventus…ma non finisce qui! Proseguirò in Juventus con il ruolo di Responsabile dell’area portieri. Non mi rimane che dire…Fino alla Fine!”.

    Filippi cambia ruolo, la reazione di Szczesny

    Non sono mancati i tanti messaggi di stima rivolti a Claudio Filippi. A partire dai suoi portieri, in particolare Szczesny che ha reagito al post con una faccina arrabbiata, facendo capire tutte le sue emozioni e i suoi pensieri. Tanto affetto e stima anche da parte di Perin e di Pinsoglio. Applausi per il lavoro svolo anche da portieri che non hanno giocato con la Juve, come Sorrentino. E anche da parte dei tifosi i commenti sono stati molti: “Una notizia che fa male, preparatore storico e super competente, una grossa mano in questa era gloriosa della Juventus è anche tua!”. LEGGI TUTTO

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    L’ex Juve e quell’aneddoto su Marotta: “Ogni tanto gli facevo fare gol…”

    «Sarebbe troppo facile dire adesso: “Sì, me l’aspettavo”. In realtà le dico di no. Aveva certamente delle qualità importanti, si poneva degli obiettivi ed era ambizioso. E poi scegliendomi come primo acquisto del Varese ha dimostrato fin da subito di essere un grande dirigente (ride, ndr). Anche questa è una battuta (ride, ndr). L’esperienza comunque devi saperla mettere a frutto. Beppe ce l’ha fatta alla grandissima. Questa è la bravura di una persona in ogni lavoro. Avrà ovviamente sbagliato pure lui, come tutti del resto, ma è stato in grado di imparare e di dimostrare le sue doti».

    Oltre a lei, ne ha fatti poi tanti di grandi acquisti.

    «Ci siamo portati bene a vicenda».

    Quanto è stato importante Marotta nello scudetto dell’Inter?

    «Tantissimo, visti i problemi di Zhang che oramai, almeno da quanto si leggeva in giro, era in Cina da tempo. Il fatto di aver tenuti tutti uniti e di aver vinto lo scudetto della seconda stella è una cosa a cui si deve dare un gran merito, soprattutto a Beppe. E non va dimentica poi la finale di Champions League dello scorso anno».

    Marotta è la dimostrazione di come con lavoro, passione e abnegazione di possono centrare storici obiettivi.

    «I grandi risultati con Juventus e Inter hanno fatto sì che il suo lavoro fosse maggiormente sotto gli occhi di tutti Ma lui ha dimostrato la sua bravura sin dal 1980, pensi che col Varese, con una squadra di giovanissimi calciatori, sfiorammo la Serie A. Ha sempre fatto benissimo, vedi Monza, Atalanta, Sampdoria. Io non so se sia il più bravo di tutti nel suo mestiere, ma sicuramente è tra i più bravi».

    Un aggettivo per Marotta?

    «Capace, perché sa gestire perfettamente una cosa così importante come una società di calcio. La sua storia parla per lui». LEGGI TUTTO