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    Trezeguet: “Quando la Juve ha chiamato non ho avuto dubbi”

    Da Juventus.com: UNA VITA FRA DUE CONTINENTI Il mio amore per il calcio nasce quando ero bambino: mio papà era un calciatore professionista argentino, e io nacqui in Francia, in Normandia, a Rouen perché lui in quel momento giocava li. Sono nato in Europa, ma il mio sangue è argentino e sudamericano, ed è quindi normale che il calcio sia qualcosa che ho sentito subito in me. Quando ero bambino, tornato a Buenos Aires, e nacque fortissima la voglia di giocare: feci a 10 anni un provino al Platense e fu per me il primo approccio con il calcio vero, le regole, un allenatore, i compagni di squadra. Ricordo quel giorno, come ricordo anche benissimo la mia prima volta in allenamento con i professionisti: avevo 16 anni, quell’evento per me fu unico, un mix di emozioni, di voglia, forse anche di paura. Sei giovane, ti trovi davanti a uno spogliatoio di professionisti, che ti guardano come uno “piccolo”, ti danno consigli e ti regalano i dettagli utili per quella che sarà la tua vita da giocatore. Per la prima volta si unì in me l’aspetto del divertimento all’idea che giocare potesse diventare un lavoro… IL RITORNO IN EUROPAIo da ragazzo mi sono divertito tanto, ed è qualcosa che ancora oggi suggerisco ai giovani, perché divertirsi è fondamentale. Poi ci sono i momenti di svolta: il primo per me arrivò quando avevo 17 anni. La storia della mia vita incrociò, curiosamente, lo stesso procuratore che aveva avuto mio papà, che continuava a lavorare con la Francia. Fui molto fortunato, perché la famiglia mi ha sempre appoggiato in tutti i miei sogni, restandomi vicino, in un età difficile, in cui si rischia di perdere il focus.UN RAGAZZO NEL PRINCIPATO, UN FUTURO CAMPIONE DEL MONDOFu così che nel 1997 tornai in Francia, feci il viaggio al contrario: da Buenos Aires al Principato di Monaco. Per me l’Europa è stata fondamentale, ho imparato una grande professionalità, un’attenzione ai dettagli, ed è stato il mio approdo al mondo del professionismo. Un approdo che pochi mesi dopo mi portò alla Nazionale: all’epoca non potevo avere doppio passaporto, e presi la cittadinanza francese. Ho vinto gli Europei Under 17, battendo la Spagna in Finale, ho giocato i Mondiali giovanili in Malesia, e siccome c’era una bella collaborazione fra la Nazionale maggiore e le Under, è arrivata la convocazione con i “grandi”…STADE DE FRANCE NEL DESTINOGiocai nel febbraio 1998 alla partita d’inaugurazione dello Stade de France, in cui battemmo la Spagna. E poi arrivarono i Mondiali: sono diventato Campione del Mondo a 20 anni.Com’è stato giocare in quella Nazionale per me, così giovane? Era un momento particolare: la Nazionale doveva essere ricostruita e l’avventura di quel torneo fu incredibile, non solo per il calcio, ma per il grande seguito che quella vittoria ebbe anche su temi sociali, come il razzismo, che erano molto sentiti in Francia. Io vissi quell’avventura incredibile, restando due mesi chiuso con i compagni, senza quasi rapporti all’esterno: questo fu utile per restare concentrati e non farsi travolgere dalle emozioni, e ci portò a una vittoria incredibile.SI ALZA L’ASTICELLA E ARRIVA LA JUVEIl passaggio successivo della mia crescita è ancora con la Nazionale: dopo il Mondiale c’era da dare continuità, per vincere anche un Europeo, due anni dopo. Anche in quel caso arrivammo fino in fondo, ma ricordo molto bene quel periodo anche perché, proprio poche settimane prima della fine del torneo, firmai il mio accordo con la Juve. C’erano, nella Nazionale, due giocatori che la conoscevano bene, Deschamps e Zidane, io avevo alcune proposte sul tavolo, ma quando ho saputo che mi volevano i bianconeri non ho avuto dubbi. Ero ancora giovane ma non avevo paura a entrare in una storia leggendaria, che spesso aveva visto giocatori francesi protagonistiL’APPROCCIO ALLA SERIE AL’incontro con la Juve: un mondo nuovo, un ambiente fatto di tantissimi campioni, in un torneo, la Serie A, che allora era ambita da tutti i grandi giocatori del mondo. Un campionato nel quale c’era e ancora oggi c’è tanto da imparare, specie per un ragazzo, com’ero io all’epoca: furono settimane anche difficili all’inizio, io arrivavo dalla Finale degli Europei, vinta proprio con l’Italia. Ma la mia storia racconta che sono rimasto 10 anni, ho segnato e vinto tantissimo, ho giocato con tre palloni d’oro, ed è qualcosa che non capita spesso. Qui alla Juve, ho messo a disposizione il mio istinto, il mio talento ma ho lavorato anche tantissimo; in un club come questo imparai presto quello che era il mio ruolo, imparai da un lato a capire i compagni, dall’altro sono cresciuto ogni giorno, in ogni partita, anche confrontandomi con i grandi campioni che allora c’erano in Serie A.COSA VEDO OGGISe penso alla Juve di oggi, vedo che c’è un buon lavoro in corso con il Settore giovanile; rivedo in un certo senso quello che ho vissuto nel 2006, quando sono cresciuti giocatori come Marchisio e Giovinco: quest’anno ci sono ragazzi che si sono fatti notare e hanno dimostrato le loro qualità, ed è una cosa molto bella. Tutto ha un inizio, e vedendo giocare questi ragazzi io ripenso al mio; è importante che quindi la società sostenga e faccia crescere, con un’idea chiara, giocatori che possono diventare importanti, perché il pubblico ama i ragazzi che “nascono” nella loro squadra. Carica altri LEGGI TUTTO

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    Frey: “Maignan tra i primi 5 al mondo, ma non lo scambio con Courtois”

    L’ex portiere ha partecipato a Operazione Nostalgia: “Il belga è da tanto che dimostra di essere di altissimo livello. Inter, non vendere Onana”

    C’è la mitica dieci della Juventus con scritto Del Piero, sugli spalti. E Alex è in campo. C’è la 19 del Lecce tra il pubblico. E Chevanton è sul manto erboso. C’è l’immortale casacca giallorossa di Totti che spicca tra i nostalgici presenti al “Paolo Mazza”. E Francesco è ancora lì, sulla trequarti a inventare magia. Ma non mancano neppure la 6 di Ungari del Modena, la 20 di Bierhoff a strisce rossonere, la 18 di Batistuta quando l’argentino ha vinto lo scudetto nella capitale e la 9 di Ronaldo, il fenomeno, griffata Inter. Operazione Nostalgia ha riportato sugli spalti il bello del football (la passione dei fans) e in campo la recente storia del calcio italiano, quella che ha fatto venere i brividi a chi, ora, inizia ad avere qualche capello bianco. Ma non solo. Tanti giovani sono accorsi a Ferrara per vedere dal vivo una generazione di fenomeni, guidati non solo da Del Piero e Totti ma anche da Milito e Di Natale, Chevanton e Fiore, Galante e Frey. Brividi per gli oltre 13.000 accorsi in Emilia Romagna per rivedere un calcio che fu, capace ancora oggi di regalare le emozioni di allora. E i gol non sono mancati in una partita terminata 4-3 per la squadra capitanata da Del Piero (con la casacca nera) contro quella di Totti (in maglia bianca). In rete Milito, Del Piero su rigore, Pizarro e Chevanton (doppiette) e De Ceglie. 

    sebastien frey—  Al termine della gara, Sebastien Frey ha parlato di Onana e Maignan, portieri di Inter e Milan: “A oggi ritengo che Maignan possa essere inserito tra i cinque migliori al mondo nell’interpretazione del ruolo. Non bisogna dimenticare che è arrivato a Milano dopo aver vinto uno scudetto al Lille. Con la squadra rossonera sta completando la sua crescita. Lo ritengo un giovane – grande portiere. Se dovessi scegliere tra lui e Courtois, adesso, prenderei il belga perché è da tanti anni che sta dimostrando di poter competere ad altissimo livello. Ma sono sicuro che anche Mike avrà una grande carriera”. Poi spazio alle sue considerazioni sull’Inter e su Onana: “Fossi nella società nerazzurra, non me ne priverei. Onana non ha dimostrato solo di essere un grande atleta nel suo ruolo ma anche di sapere esercitare una leadership che, forse, precedentemente era mancata in quello spogliatoio. Ho avuto modo di parlare con lui durante un evento benefico e ho notato subito il suo carisma. È sempre il primo a esultare per le vittorie, sa stare nel gruppo e si prende grandi responsabilità. Vedremo come finirà questa vicenda di mercato ma io lo terrei in rosa e non cederei alle lusinghi delle realtà che bussano alla porta”. LEGGI TUTTO

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    Gol, coppe, costumi e colpi di testa: Brozovic-Inter, love story in 10 scatti

    La capitale croata è sia la città di nascita che quella di provenienza del centrocampista che, nel gennaio del 2015, arriva all’Inter a soli 22 anni. Marcelo Brozovic è già titolare della sua nazionale e l’allenatore nerazzurro Roberto Mancini se ne innamora in una sfida contro l’Italia sulla strada di Euro 2016: la formula del trasferimento è quella del prestito di 18 mesi con diritto di riscatto. Tre milioni di euro vengono versati subito alla Dinamo Zagabria, gli altri cinque sono fissati appunto per trasformare l’operazione in acquisto definitivo. Un totale di 8 milioni che si rivelano un vero affare per l’Inter e per quello che è il 900° giocatore a vestire la maglia del club: numero tondo benaugurante. LEGGI TUTTO

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    Dalla Spagna: avevano già deciso di escludere Mou. Ma l’Uefa smentisce

    Secondo Il Mundo Deportivo, le dimissioni del tecnico della Roma dal board sarebbero arrivate quando a Nyon avevano già deciso di estrometterlo

    La domanda che oggi pomeriggio correva fra la Spagna e l’Italia era una: José Mourinho aveva giocato d’anticipo oppure no? Com’è noto, dopo le pesanti decisioni della Uefa a suo carico – quattro giornate di squalifica – a seguito della finale di Europa League tra Siviglia e Roma, l’allenatore giallorosso ha infatti inviato una lettera a Zvonimir Boban comunicando la scelta di dimettersi dall’ Uefa Football Board , l’organo del calcio europeo che comprende tra le sue fila grandi allenatori e campioni, perché “non c’erano le condizioni” per restare. 

    retroscena—  Secondo “Il Mundo Deportivo”, però, la lettera di José Mourinho sarebbe arrivata in ritardo, cioè dopo che la Uefa aveva già deciso di escludere il portoghese dal gruppo di esperti a seguito di quanto accaduto nella finale di Europa League, in relazione al suo comportamento nella successiva conferenza stampa – le dure accuse all’arbitro Anthony Taylor – poi ribadite con veemenza nel garage dello stadio di Budapest. Ebbene, dalla Uefa è stato comunicato che “non era stata presa alcuna decisione riguardo a una espulsione di Mourinho”. Morale: la scelta dell’allenatore portoghese non ha voluto né anticipare né mettersi in scia di scelte altrui, ma solo ribadire come, a suo parere, la misura (arbitrale) sia colma. LEGGI TUTTO

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    Numeri e mercati: perché alla Juve i giocatori non si valorizzano

    Le altre big italiane devono cedere i pezzi pregiati ma lo fanno a una quotazione superiore a quella con cui erano arrivati. Da De Ligt alle potenziali uscite di questa estate, alla Signora non succede da un pezzo: lo dice la storia delle ultime sessioni

    Dall’affare Tonali a quello poi non (ancora) maturato per Barella, ma sarebbe stato lo stesso per Leao o Lautaro, fino all’uscita di Kim e al rischio partenza di Osimhen, per le big italiane si profila un’estate di possibili dismissioni, obbligate dal buon senso di cogliere le occasioni che oggi offre il mercato per fare cassa. Uno stop ai rispettivi progetti tecnici, ma si tratta in ogni caso di giocatori valorizzati, che partirebbero per cifre molto molto superiori rispetto a quelle a cui erano arrivati. Una dinamica a suo modo virtuosa e, come rivela lo storico recente e viste anche le prospettive di breve termine che si delineano, totalmente sconosciuta all’attualità della gestione tecnica della Juventus.  LEGGI TUTTO

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    Juve, Del Piero torna allo Stadium

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