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    Vlahovic con Milik. E Szczesny si riprende la porta: la Juventus anti Bologna

    TORINO – Meno tre alla ripartenza: domenica la Juventus ospita il Bologna all’Allianz Stadium. Massimiliano Allegri, in attesa di verificare le condizioni degli ultimi nazionali, pensa al 3-5-2 per l’incrocio contro i rossoblù di Marko Arnautovic, capocannoniere della Serie A con 6 gol. E saranno Arkadiusz Milik e Dusan Vlahovic (Di Maria è squalificato) i terminali bianconeri. Se DV9 è rientrato più leggero dalla Nazionale grazie al gol segnato contro la Norvegia di Erling Haaland, Arek è uno degli juventini più in forma, senza contare che si ritroverà di fronte quell’Arnautovic con il quale è stato in ballottaggio proprio per la maglia bianconera.
    RABIOT E LOCATELLI Novità importanti soprattutto in mezzo al campo. Allegri recupera Adrien Rabiot e Manuel Locatelli, out contro Benfica e Monza prima della sosta. Il francese e l’italiano probabilmente si piazzeranno ai lati di Leandro Paredes. Recuperato anche Fabio Miretti, che probabilmente si accomoderà in panchina. Qualche dubbio in più sugli esterni: Filip Kostic, reduce dall’assist per Vlahovic in Nazionale, è in ballottaggio con il rientrante Alex Sandro, mentre a destra Mattia De Sciglio è in vantaggio su Juan Cuadrado.
    RIECCO SZCZESNY In porta riecco Tek Szczesny, assente dal 31 agosto (Juventus-Spezia 2-0) ma reduce dal buon rodaggio con la Polonia. Davanti al polacco il trio composto da Gleison Bremer, Leonardo Bonucci e Danilo.
    PROBABILE FORMAZIONEJUVENTUS (3-5-2): Szczesny; Bremer, Bonucci, Danilo; De Sciglio, Locatelli, Paredes, Rabiot, Kostic; Milik, Vlahovic. All. Allegri
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    Juve: Allegri riabbraccia Alex Sandro, Locatelli e Rabiot

    TORINO – Domenica alle 20:45 la Juventus ospiterà il Bologna in occasione dell’8ª giornata di campionato, i bianconeri sono tornati ad allenarsi con buone notizie per Massimiliano Allegri. Dopo 2 giorni di riposo la squadra è tornata al lavoro questo pomeriggio al Training Center con Alex Sandro, Manuel Locatelli ed Adrien Rabiot che si sono allenati in gruppo. In merito ai giocatori impegnati con le nazionali solo i polacchi Milik e Szczesny sono rientranti presenziando all’allenamento odierno focalizzato su un programma composto da esercitazioni tecnico-tattiche di possesso palla. LEGGI TUTTO

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    Allegri, visto Vlahovic nella Serbia? È un altro. Questione di gioco

    I numeri schiacciano le parole e i numeri di Serbia-Svezia (4-1), se paragonati a quelli juventini, raccontano un altro Dusan Vlahovic. Che a Belgrado non ha segnato, ma è risultato fra i migliori in campo insieme con Filip Kostic, pure lui in ombra in bianconero e rigenerato dalla Nazionale di Stojkovic, domani impegnata nel nuovo test premondiale, stavolta con la Norvegia. La verità è semplice: la Serbia ha un impianto di gioco e un’identità che la settima Juve di Allegri non ha ancora trovato. Se Vlahovic nella Serbia detta assist e giocate vincenti, registra il doppio dei passaggi bianconeri con l’87,5% di precisione rispetto al 70,5%, una ragione ci sarà. Se Vlahovic rende di più come un altro attaccante accanto a lui, come Mitrovic, marcatore di tre gol alla Svezia anche grazie a Vlahovic, è evidente quanto Milik non possa né debba essere un’alternativa, ma un partner dell’ex viola. Se Vlahovic nella Serbia gioca con due esterni come Kostic, Zivkovic o Lazovic che lo cercano e lo servono come non gli capita nella Juve, è chiaro quanto molto debba cambiare. Nella Juve, ovviamente. In maglia viola, prima di trasferirsi a Torino, Dusan aveva segnato 20 gol in 24 incontri, media realizzativa 0,83; da quando gioca in bianconero, ha totalizzato 13 reti in 29 gare, media 0,44. L’arrivo di Milik gli gioverà senz’altro, tuttavia, il nodo cruciale che Allegri deve sciogliere non riguarda esclusivamente il modo migliore di sfruttare il talento di Vlahovic.

    La prova di Monza è stata deprimente non soltanto per la bruciante sconfitta, ma, soprattutto, per il non gioco di una squadra senza capo né coda. L’allenatore ne è convinto: la Juve di oggi è virtuale e non vera o, quantomeno, non è la squadra che lui ha in testa, sinora mai vista in azione a causa dei troppi indisponibili. In chiave Bologna, Allegri dovrebbe recuperare Alex Sandro, Locatelli e Rabiot. In quarantadue giorni (2 ottobre – 13 novembre), Max si giocherà tutto. Ha a disposizione 12 partite per ribaltare il pessimo inizio di stagione: Bologna, Maccabi, Milan, Maccabi, Torino, Empoli, Benfica, Lecce, Psg, Inter, Verona e Lazio. Proibito sbagliare. E non è un modo di dire.

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    La parola al mental coach Corapi: “Juve, libera la mente”

    TORINO – Buongiorno Sandro Corapi: da mental coach, che consiglio darebbe alla Juventus per uscire dalla crisi di identità? «Consiglierei un lavoro individuale sulle teste dei giocatori. Ogni calciatore, come ogni persona, ha delle convinzioni che vanno a incidere sulle prestazioni. Quando le convinzioni si discostano dalla realtà portano a dei condizionamenti sbagliati a livello di identità». E’ una questione di autostima? «Certo, quando calano le certezze – individuali o collettive – si abbassa anche l’autostima. E le convinzioni determinano il risultato finale». E’ un circolo vizioso… «Se le convinzioni sono alte generano un alto potenzionale che, a sua volta, genera azioni efficaci ed efficienti e si centra il risultato. Se le convinzioni sono basse, il potenziale diminuisce, le azioni sono inefficaci ed inefficienti e i risultati si rivelano scarsi». Come si lavora, quindi, sulle teste dei giocatori? «In questa fase il ruolo dell’allenatore è molto importante e incide parecchio. Il tecnico deve riconquistare l’affetto, la fiducia e la credibilità della squadra. L’allenatore deve essere un leader: se non lo è, il suo messaggio passa a livello razionale ma non a livello inconscio. E l’inconscio è determinante in un giocatore perché gioca d’istinto. Oppure possono incidere, ma soltanto parzialmente, a breve termine». Gli allenatori non sono però dei mental coach, anche se fra i loro compiti non c’è soltanto l’aspetto tecnico-tattico ma anche motivazionale. «Per motivare la squadra occorre anche essere credibili agli occhi dei giocatori. Non a caso ho passato gli ultimi due giorni a preparare due partite con due allenatori professionisti». E che cosa ha detto loro affinché siano credibili? «Abbiamo lavorato sull’importanza della comunicazione con i giocatori: non bisogna arrivare soltanto alla testa, ma anche al cuore della squadra, colpire le emozioni. E poi ho puntato anche sui comportamenti: le parole devono essere coerenti con le azioni. E’ lì che il tecnico si gioca tutto: se c’è discrepanza tra quello che dice e fa con quello che viene recepito dai giocatori allora non c’è cattiveria, determinazione o sacro furore che possa fare la differenza». Visto dal di fuori Allegri è un bravo motivatore? «Uno dei migliori, è un ottimo comunicatore ed è competente. Almeno, questo è quello che percepisco io dall’esterno. Per risolvere i problemi di testa un tecnico deve essere più uomo e meno allenatore: si deve spogliare delle sovrastrutture e aprirsi alla mente, agli occhi, al cuore e all’anima dei ragazzi. Deve essere umile e vicino alla squadra e con la squadra superare la crisi. Soltanto dopo può riprendersi il ruolo di allenatore». Lei che spiegazione si è dato sulla crisi di identità della Juventus? «Secondo me dovrebbero chiudersi per tutte le ore necessarie dentro lo spogliatoio e chiarirsi perché sicuramente ci sono stati problemi non risolti tra i giocatori, con il tecnico e/o con la società». Serve un chiarimento tra tutti, quindi. «Come spesso succede tra due amici o in una coppia: occorre parlarsi, magari litigare, ma poi resettare tutti e ricominciare altrimenti i rapporti si deteriorano. Se qualcuno, dentro lo spogliatoio, ha dei mal di pancia incide sull’energia della squadra». Torniamo al lavoro sulle teste dei giocatori… «Bisogna analizzare l’autostima e il livello di convinzione di ogni singolo giocatore per incrementarli. Per farlo serve un inconscio libero, la mente non deve essere annodata. Se attraverso un momento di stress e di paura, perdo convinzione e l’autostima scende. Il mio inconscio torna ai ricordi del passato in cui ho provato le stesse sensazioni e vado a rafforzarle. E non riesco a risalire dal momento down». A proposito di stress: Vlahovic è smanioso di segnare perché e da un po’ a digiuno, ma si lascia prendere dalla frenesia con risultati controproducenti. Come si può ovviare? «Il suo punto di forza è la voglia di segnare, la motivazione c’è. In questo caso bisogna farlo ragionare sugli atteggiamenti in modo che quando scende in campo lascia libera la mente al suo istinto. La ragione è il direttore d’orchestra che detta i tempi, l’inconscio determina invece l’azione». Altrettanto fondamentale nei momenti di crisi è il ruolo dei senatori… «Sono determinanti perché devono fare quadrato intorno al tecnico, al suo staff e alla squadra. E’ loro la responsabilità di ricompattare il gruppo, di rimettersi in gioco resettando tutto». Ma anche i dirigenti hanno bisogno di un mental coach? «Certo, io per esempio sto seguendo alcuni direttori sportivi di Serie A e B. Il ruolo del ds è strategico perché fa da trait d’union tra la società, il tecnico e la squadra. E sente la pressione da tutte queste componenti, quindi deve gestire lo stress, avere doti da leadership e da comunicatore». La leadership si allena? «Quando sono nato non ero un leader e non lo ero neppure a 20 anni, poi lavorando su me stesso lo sono diventato. Diciamo che la genetica incide per il 25% mentre il restante 75% dipende dai condizionamenti culturali e ambientali. Per ambiente si intende le persone che si frequentano e i modelli da leader. Noi siamo il risultati della media delle cinque persone che frequentiamo di più. Per cultura si intendono invece gli studi, le letture e le informazioni che quotidianamente immagazziniamo». LEGGI TUTTO

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    Juve a ranghi ridotti: Allegri lavora sulla 'mira'

    TORINO – Senza i tanti nazionali impegnati in giro per il mondo e con diversi infortunati ancora ai box la Juve lavora a ranghi ridotti a Vinovo. Come ieri allenamento mattutino insieme al team di Juventus Next Gen per i bianconeri di Massimiliano Allegri con il lavoro, spiega il club in una nota, che “è stato essenzialmente focalizzato su esercitazioni tecniche miste per la finalizzazione dell’azione e partitella finale”. Domani (sabato 24 settembre) è in programma un’altra seduta di allenamento al mattino. LEGGI TUTTO

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    Morata: «A gennaio mi ha cercato il Barcellona, ma Allegri voleva vedermi giocare con Vlahovic»

    TORINO – La Juve di questi tempi non dà soddisfazioni alla sua tifoseria e se si pensa alle enormi difficoltà che Dusan Vlahovic sta incontrando nonostante sia sempre il cannoniere di squadra con 4 gol in campionato (di cui, però, solo uno su azione), ascoltare Alvaro Morata può fare comunque un bell’effetto e sciogliere per un attimo la tensione. L’ex attaccante bianconero, tornato in estate all’Atletico Madrid da dove nonostante mille rumours non s’è più mosso, ha parlato dal ritiro della Spagna alla nota trasmissione della Cadena Ser, El Larguero. Al centro dell’attenzione le parole dedicate da Alvarito alla sua ex squadra, in particolare al mercato di gennaio e di giugno, quando una squadra l’aveva seguito da vicino: «Sì, è vero, c’è stato un interesse del Barcellona, mi ha chiamato anche Xavi con cui ho parlato non solamente di calcio, un po’ di tutto. E questo mi ha fatto sentire bene, l’ho apprezzato molto». L’ex centrocampista blaugrana era subentrato da un paio di mesi a Ronald Koeman e nelle settimane successive aveva spinto molto perché Morata lo raggiungesse in Catalogna. «Alla fine dell’inverno passato c’erano state 4-5 buonissime opportunità da valutare – prosegue Alvaro – però Allegri è stato chiaro con me, voleva che io rimanessi, mi diceva che voleva vedermi giocare con Vlahovic. Così ha bloccato tutto. E io ho giocato sulla sinistra, l’ho fatto, anche se per me è stato uno sforzo».
    L’addioNon è un mistero che lo spagnolo, finché ha potuto, ha sperato in una conferma nella Juventus, ma l’Atletico Madrid non ha mai mollato un centesimo rispetto all’iniziale accordo tra le società, in base al quale Morata sarebbe stato ceduto a titolo definitivo solamente a fronte di un bonifico da 35 milioni di euro sull’unghia. Ecco perché Alvarito è tornato a Madrid, malgrado si raccontasse da tempo del mancato feeling con Diego Simeone. Non è andata così e non deve stupire il fatto che oggi il bomber della Roja si esprima in questi termini: «Voglio vincere più titoli possibili, penso di poter dare ancora tanto a questa squadra. Credo nel destino. Se concluderò la carriera all’Atletico? La verità è che qui mi sento a casa». Con la Juve, vada come vada la stagione in corso, è ormai finita. Mentre Vlahovic, nel frattempo, ha un nuovo “partner” alla sua sinistra. Il problema è che Filip Kostic s’è abbastanza nascosto fino ad ora.

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    Prima Zakaria, poi de Ligt: Allegri, che cosa è successo (e che cosa sta succedendo) nello spogliatoio Juve?

    In principio era stato Matthijs de Ligt, o per meglio dire Julian Nagelsmann, allenatore del Bayern. Non era trascorsa neanche una settimana dall’arrivo in Baviera del Golden Boy Tuttosport 2018, che il nuovo tecnico dell’olandese ha sbottato: “Ho parlato con de Ligt dopo l’allenamento e ha detto che questa per lui è stata la seduta più dura degli ultimi quattro anni. In verità, l’allenamento è stato duro, ma non così tanto. de Ligt non ha giocato molti minuti la scorsa stagione e ho sentito che in Italia poi non è facile tenersi in forma. Dobbiamo lavorare duramente con lui…”. Era il 25 luglio. Il 29 luglio, de Ligt spara la prima bordata: “Scelsi la Juve per giocare un calcio più offensivo perché l’allenatore era Sarri che ha una grande reputazione per ciò che ha fatto con Napoli e Chelsea e pensavo di avere uno stile più simile all’Ajax. Purtroppo dopo un anno è andato via. E con Allegri venivo spesso schierato a sinistra, anche se io gioco meglio a destra”.

    Ieri, 20 settembre, seconda frecciata: in un’intervista alla tv olandese Nos, de Ligt dichiara: “Alla Juve mi sono divertito molto, ma sentivo che per me era arrivato il momento di una nuova sfida. La Juve è una grande squadra, ma trasferirmi al Bayern ha significato fare un ulteriore salto di qualità. Il Bayern ha mezzi migliori per vincere la Champions. Alla Juve ho avvertito un po’ meno questa sensazione”. Dopodiché, siccome in questo periodo la Juve non si fa mancare nulla, è il turno di Denis Zakaria, preso a gennaio (15 presenze, 1 gol) ceduto in agosto in prestito al Chelsea dove non ha ancora raggranellato una presenza, mentre, sempre in Inghilterra, l’altro ex bianconero Arthur è stato aggregato all’Under 21 del Liverpool perché ha bisogno di allenarsi molto intensamente. Zakaria dixit: “Con l’organico che ha la Juve dovrebbe vincere tutte le partite 3-.0. La squadra giocava molto bassa e non avevo molto spazio. Allegri? Un allenatore che ha ottenuto grandi risultati, ma con lui non parlavo molto”.

    Ora, sottolineato che la coerenza e l’eleganza sono come il coraggio manzoniano: se uno non li ha, non se li può dare e quindi de Ligt e Zakaria, le cose che hanno detto dovevano dirle quand’erano a Torino, non dopo avere lasciato Torino. Soggiunto che i bilanci si stilano alla fine della stagione, quando capiremo se de Ligt e Zakaria avranno fatto sfracelli nel Bayern e nel Chelsea. Tutto ciò premesso, le domanda del giorno, rivolte ad Allegri, sono queste: ma che cosa diavolo è successo nello spogliatoio Juve e, soprattutto, che cosa sta succedendo adesso, con i casi Di Maria e Bonucci? Ancora: ma la Juve si allena bene? Quanto e come si allena? Quanto e come correre? Urgono risposte. Chiare, esaurienti. E senza battute.

    Guarda la galleryJuve, il rendimento di chi ha salutato in estate: Dybala al topIscriviti al Fantacampionato Tuttosport League e vinci fantastici premi! LEGGI TUTTO

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    Pjanic esclusivo: “Juve, troppe negatività. Basta una scintilla”

    Pjanic, cosa ha pensato vedendo Bonucci e compagni, prima contro il Benfica e poi domenica a Monza, scusarsi davanti ai tifosi che contestavano?

    «È la dimostrazione che i giocatori sono consapevoli della situazione. Calciatori e tifosi devono essere una cosa sola. È un senso di responsabilità prendersi i fischi della gente. Dispiace vedere la Juventus in questa situazione, ma un momento di crisi arriva sempre nell’arco della stagione».

    La Juventus è ottava in classifica, a meno 7 dalle capoliste Napoli e Atalanta: stupito?

    «Sì. Ma diciamo che quasi tutte le big stanno faticando a decollare. Penso all’Inter e pure al Milan, che comunque è più avanti. Il Napoli ha fatto un grande inizio di campionato, come Atalanta e Udinese. È vero, dalla Juventus ci si aspettava di più, ma è soltanto l’inizio e c’è ancora il tempo per recuperare. Per vincere lo scudetto devi essere regolare e continuo, però ci sono più di trenta partite da giocare. La sosta arriva al momento giusto, aiuta a schiarire le idee tanto ai giocatori quanto ad Allegri e allo staff».

    Dopo la sconfitta di Monza è in crescita tra i tifosi il partito del “via Allegri”. La società, invece, ha deciso di andare avanti con lo stesso allenatore. Lei che idea si è fatto?

    «Quando arrivano questi momenti, dove hai tanti dubbi in testa e poche sicurezze, giocare contro la prima in classifica o contro l’ultima, come a Monza, cambia poco: incontri le stesse difficoltà».

    Perché?

    «È una questione mentale, difficile da capire per chi non scende in campo. Ma in questi momenti, basta una scintilla e tutto si sblocca in positivo».

    Cosa intende per scintilla?

    «Alla ripresa, dopo le nazionali, arriverà il Bologna all’Allianz Stadium. Se i bianconeri riusciranno a vincere dominando, poi le cose andranno a posto da sole. A volte basta poco… L’importante, in questi momenti, è restare uniti. Non cercare colpevoli perché alla fine tutti sono colpevoli allo stesso modo quando non si vince. Percepisco tanta negatività, ma quello che si dice fuori non deve entrare nella testa dei giocatori. Il mondo Juve deve restare compatto: società, allenatore, staff, giocatori e tifosi devono ritornare una cosa sola. La Juventus ha già tanti avversari di suo: dalle squadre alle tifoserie rivali… Se entri all’Allianz Stadium e hai anche la tua tifoseria scontenta, pur con delle ragioni in questo momento, diventa tutto complicato».

    Tornando ad Allegri?

    «Adesso non hanno senso i cambi, le somme si tirano alla fine della stagione. La Juventus di Allegri può riuscire a ribaltare tutto, ma si devono mettere tutti in discussione. Nessuno può essere soddisfatto, a partire dai giocatori. Ma anche Allegri e il suo staff staranno facendo delle riflessioni per svoltare. Quando un momento difficile arriva così presto, sei costretto a commettere meno errori possibili. Il campionato è equilibrato, può succedere ancora di tutto. Quando vinci passando da questi periodi duri, poi è ancora più bello e gustoso il successo. Diventano soddisfazioni enormi. Vi ricordate la stagione 2017-18 e la vittoria del Napoli di Sarri allo Stadium con il gol di Koulibaly nel finale?».

    Lo scudetto sembrava sfumato e il ciclo finito…

    «Il giorno dopo la sconfitta contro il Napoli lo ricordo come fosse ieri. Mi presentai al campo per l’allenamento e non vi nascondo che io e altri compagni iniziammo ad avere dei dubbi in testa. Del tipo: lo scudetto non lo vinciamo più. Anche perché la partita successiva era a San Siro, contro l’Inter. Allegri riunì la squadra e ci parlò con una calma e una serenità incredibili. E senza cercare scuse o alibi. Max ci disse di non pensare al gol di Koulibaly, ma ai punti che ancora c’erano in palio per raggiungere l’obiettivo. A San Siro sapete come è andata: andammo prima in vantaggio, poi sotto. E alla fine vincemmo 3-2. Allegri guarda sempre avanti, non indietro. In questi momenti cerca le parole giuste e le soluzioni migliori per svoltare. Farà così anche stavolta. Lo sapete perché noi svoltammo?».

    Racconti pure…

    «Perché dentro di noi avevamo l’orgoglio di non far finire il ciclo e ci rodeva l’idea che un’altra squadra potesse festeggiare lo scudetto. È una cosa che senti dentro. È mentalità. E il nostro era un gruppo di campioni accomunati da questo spirito».

    Manca più Chiellini o Dybala alla Juventus?

    «Manca chiunque, ma la forza della Juventus è – e sarà sempre – questa: i campioni passano, il club resta e continua a vincere. Prima di loro, c’erano fuoriclasse come Zidane, Nedved, Cannavaro, Del Piero, Trezeguet… La Juventus è una macchina fatta per trionfare e lo capisci subito. Quando arrivai a Torino pensai: non voglio diventare uno che ha giocato nella Juventus senza vincere. E ogni giorno ero focalizzato sul lavorare per arrivare al successo. Questo è il mondo Juve: è il dna del club, del presidente. Ogni giocatore deve avere qualcosa che gli scatta dentro quando è alla Juventus: dire è colpa di quello o di quell’altro è facile, però non è una soluzione. Dopo la sosta l’unico pensiero deve essere provare piacere sul campo, attaccare e vincere 3-0 contro il Bologna. Nel calcio è tutto sul filo. Ogni cosa si può ribaltare in fretta e sono convinto che la Juventus ci riuscirà».

    Basteranno i futuri ritorni di Di Maria (fuori 2 giornate per squalifica), Pogba e Chiesa per far svoltare la Juve?

    «I tanti infortuni condizionano, perché i leader e i campioni danno qualcosa in più. E influenzano anche gli avversari, che quando vedono certi giocatori in campo ti affrontano in maniera diversa. Se puoi schierare questi tre nella formazione iniziale, cambiano le partite. Di Maria crea sempre dei pericoli quando ha la palla. E anche Chiesa è così. Ma non si deve dimenticare che Federico tornerà da un infortunio complicato. E pure Pogba avrà bisogno di un po’ di tempo per tornare al top. Averli in forma, a metà o non averli non è la stessa cosa. Non si devono cercare scuse, si deve soltanto fare qualcosa in più. Tutti. Ma sono certo che Allegri e certi miei ex compagni che sono ancora alla Juventus hanno la forza per ribaltare la situazione».

    È ottimista anche sull’impresa Champions de bianconeri dopo le due sconfitte nel girone contro Psg e Benfica?

    «Sarà dura, ma è ancora tutto aperto con 4 partite da disputare. La Juventus deve conquistare 6 punti con il Maccabi Haifa. E poi il passaggio del turno se lo gioca a Lisbona, dove servirà una grandissima partita. I portoghesi sono sempre difficili da affrontare: partono da outsider, ma sono tosti. Che sia Benfica, Porto o Sporting, sono sempre incroci tosti».

    Intanto Allegri ha ritrovato un regista di ruolo: Paredes. L’ex Psg è stato suo compagno – e allievo – ai tempi della Roma. Ha dato qualche consiglio all’argentino?

    «Leandro non giocava molto, a Roma. Era giovane. Sta facendo la sua strada e adesso avrà molte responsabilità perché quella del centrocampista centrale è una posizione chiave per Allegri. Quel ruolo in passato è sempre stato occupato bene e al regista sono sempre state affidate grandi responsabilità per far giocare la squadra come vuole l’allenatore. Ora tocca a Paredes assumersi le responsabilità. È un giocatore valido e spero faccia bene».

    Vlahovic è a quota 4 gol in campionato, ma a settembre non ha mai segnato: c’è da preoccuparsi?

    «Dusan mi piace tantissimo, ho parlato anche con lui qualche tempo fa. Sono molto contento che sia arrivato alla Juventus. In questo momento deve stare calmo e lavorare sui propri difetti perché è giovane. Higuain, quando è arrivato a Torino, aveva almeno 7-8 stagioni ad altissimo livello in più rispetto a Vlahovic. Il Pipita era un rinforzo pronto, reduce da anni al Real Madrid, al Napoli e con tante partite di Champions sulle gambe. Quando si parla di Dusan, non bisogna dimenticarsi che è un attaccante forte, ma che ha solo 22 anni e tanta responsabilità sulle spalle. Però mi sembra che Dusan abbia l’umiltà giusta per diventare un campione. I gol li sa fare. Ma tra giocare nella Juventus o in un’altra squadra, c’è differenza. A volte non si pensa a questa cosa. La maglia pesa, alla Juve. Sono convinto che farà bene, Dusan, però deve restare calmo e lavorare ogni giorno per migliorarsi».

    A parte quelli della Juventus, quali giocatori le piacciono di più in Serie A?

    «Ho un debole per Theo Hernandez e Leao del Milan. E apprezzo tantissimo anche Pellegrini della Roma».

    Lei è stato vicino a un ritorno in Italia nei mesi scorsi?

    «Sì, però sono contento di questa nuova avventura negli Emirati. Ho giocato nelle squadre più forti del mondo, in carriera mi è mancata soltanto la Champions».

    A fine agosto, prima dell’arrivo di Milik, si è parlato molto anche del suo ex compagno Depay per la Juventus: l’olandese si era informato con lei sul mondo bianconero?

    «Memphis è un giocatore del Barcellona. E cosa ci siamo detti, non lo devo dire io…».

    Dopo aver giocato con Cristiano Ronaldo alla Juventus e con Messi nel Barcellona, prima di lasciare i blaugrana ha fatto in tempo anche a incrociare Lewandowski in Catalogna. Com’è il polacco da vicino?

    «Cris e Leo sono giocatori incredibili. Ma anche Lewandowski è impressionante: ogni partita riesce sempre a crearsi diverse occasioni davanti alla porta. E fa sempre gol. Robert è molto umile ed è un gran lavoratore, tanto che a Barcellona è già a casa. Segnerà almeno 30 gol in campionato». LEGGI TUTTO