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    Natale al Filadelfia: Torino, voglia di regali sotto l'albero

    TORINO – (e.e.) Natale al Filadelfia. Non è il titolo di un nuovo cinepanettone, ma la festa andata in onda al centro di allenamento. Tutti presenti tranne Nikola Vlasic, terzo al Mondiale in Qatar e ancora in vacanza. Il presidente Urbano Cairo non ha perso l’occasione per elogiare il suo tecnico Ivan Juric: con il croato c’è sul piatto la volontà di rinnovare il contratto, altrimenti si rischierebbe l’addio anticipato a giugno. In ballo però le garanzie sul mercato. Perr Schuurs, colpo estivo, si è presentato con la compagna Roos e Ilkhan. Lui si è ambientato alla grande a Torino e crede nelle possibilità della squadra di puntare all’Europa. “Mi trovo bene in granata, è stato facile scegliere questo club – la risposta dell’olandese ex Ajax intervistato dai tifosi – e il pubblico è sempre caloroso: cantano tanto e ci danno grande carica, è bella la connessione che c’è tra la squadra e la sua gente”. LEGGI TUTTO

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    Torino, Cairo: “Vagnati in Qatar in cerca di talenti”

    TORINO – Il presidente granata Urbano Cairo ha parlato nell’ambito dell’incontro dell’agenzia Italpress con il mondo dello sport. Quattro i temi fondamentali trattati dal patron del Toro, due dei quali di stretto interesse torinista: questi ultimi sono le seconde squadre e la missione qatariota di Vagnati. Terzo punto affrontato la crisi del calcio italiano («Arriviamo da anni complicati, e mi dispiace il fatto che il calcio, che contribuisce per il 70% alle entrate fiscali dello sport italiano, abbia avuto pochissimo dallo Stato»), quarto l’indagine che ha investito la Juve («Non sono al corrente dei dettagli, ma posso dire che se la Juve ha fatto certe cose, qualcuno le ha fatte con lei»).

    “Al Mondiale tifo Argentina”

    Questi, invece, i punti che riguardano il Toro: «La soluzione seconde squadre è una buona idea – prosegue Cairo -. Vogliamo lavorarci perché può essere una soluzione interessante». Quindi il messaggio recapitato indirettamente a Juric, con il quale vorrebbe allungare il rapporto entro la fine dell’anno: «Vagnati in Qatar ha visto una quindicina di partite, mi deve consegnare una relazione quindi valuteremo se ci siano talenti da prendere. Ho visto molto bene la Francia, ma anche il Brasile e l’Argentina per cui faccio il tifo, visto che laggiù ho qualche parente».
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    Il Toro guarda al futuro: ecco cosa sarà di Juric, Praet e Lukic

    TORINO – I tre nomi del Toro che verrà: Ivan Juric, Dennis Praet e Sasa Lukic. Dopo il prolungamento di contratto del dt Davide Vagnati, per dare continuità al progetto, adesso il presidente Urbano Cairo sta lavorando sul tecnico. Il croato ha il contratto in scadenza nel 2024, ma il presidente vorrebbe portarlo al 2025. Proprio per impostare un futuro importante. Per quanto riguarda il mercato, si stanno intensificando le trattative con il Leicester per il ritorno di Praet a Torino. Il belga in Inghilterra è ai margini e per questo ha perso i Mondiali. E’ furibondo e vuole tornare al Toro. Juric lo aspetta. E infine Lukic: nei giorni scorsi in un’intervista il serbo ha fatto chiaramente capire di voler lasciare il Toro per andare in un club che giochi in Champions: subito dopo il Mondiale oppure a giugno. Conclusione: il Toro a gennaio lo metterà sul mercato. LEGGI TUTTO

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    Come si cambia: con Praet il Toro di Juric ancora più offensivo

    TORINO – Con l’eventuale arrivo di Praet e la probabilissima partenza di Lukic, il Toro diventerà ancora più spregiudicato. Proprio come vuole Juric. Perché il belga è molto più offensivo del serbo. E se, come pare, il tecnico croato riuscirà ad ottenere il suo giocatore preferito (Praet appunto) prepariamoci a vedere una squadra tutta fantasia. Perché nei piani dell’allenatore c’è anche un sistema che prevede tutti i suoi trequartisti in campo visto che il belga è uno che sa anche difendere per poi impostare.
    Praet con Ricci e Linetty: che Toro
    Immaginate un centrocampo con Praet, Ricci e Linetty: tre elementi che sanno catturare palloni. Con Miranchuk a destra e Radonjic a sinistra a completare un centrocampo a cinque. Poi Vlasic più avanti in qualità di trequartista puro con un’unica punta che può essere Pellegri con Sanabria come alternativa. Di sicuro, dalla cintola in su, vedremo un Toro con tecnica, grinta e fantasia. Naturalmente Juric aspetta di avere tutti i suoi giocatori per provare il nuovo schema perché l’intenzione sarebbe quella di schierarli tutti. Con la difesa che, ovviamente, resterebbe a tre. LEGGI TUTTO

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    Torino, attento Cairo: così perderai anche il parafulmine Juric

    Urbano Cairo è diventato ufficialmente proprietario del Toro il 2 settembre 2005. Ha perso ventuno derby sui ventisette disputati durante la sua gestione e ne ha vinto uno solo su 27: percentuale di successo 3,27%. Un infelice record granata che, presumibilmente, non verrà mai battuto, anche perché c’è la gara di ritorno con la Juve da disputare e al peggio non c’è mai fine. Ma di peggio, rispetto alla delusione dei tifosi per la sconfitta con i bianconeri, c’è l’involuzione del rapporto fra Juric e il Toro, cioè con Cairo, che sta sconfinando nella disaffezione, nella delusione, nella frustrazione del tecnico croato per la squadra che, se gli avessero dato retta, oggi sarebbe potuta essere altrove e non undicesima con 11 punti, a -15 dal Napoli capolista, a +6 sulla zona B, con 3 vittorie, 2 pareggi e 5 sconfitte sul groppone, 8 gol segnati e 12 subiti. Le dichiarazioni di Ivan il Parafulmine sono sempre più preoccupanti: “Non chiedo rinforzi per gennaio: ho già preso due schiaffi e fatto tre passi indietro. Il futuro? Non so che cosa farò”. E ancora: “Non batterò i pugni perché tanto è inutile”. La verità è semplice e, al tempo stesso, sconfortante: questo Toro ha perso l’anima che Juric gli aveva dato, la personalità, la grinta, la determinazione indispensabili per non ripiombare nella grigia mediocrità diventata sinonimo di granata frustrazione. Di nuovo, questo Toro sembra essersi votato all’ennesimo piccolo cabotaggio, fissando il decimo posto come un traguardo magnifico quando, al contrario, è l’avvilente sublimazione di un appiattimento senza fine. Su Tuttosport, all’indomani del derby, Andrea Pavan con lo stile icastico e tagliente che lo contraddistingue, ha fatto un calcolo partendo da quel 3,27 % di successo registrato dopo 27 derby. “Rimanendo proprietario del Torino Fc ancora per 73 derby e quindi per un’altra cinquantina d’anni, Cairo riuscirebbe forse a vincerne un paio”. Raggelante scenario per una tifoseria che non sa più a che santo votarsi né coltiva la flebile speranza che le cose possano cambiare. Domenica i granata giocheranno a Udine, contro la terza in classifica che si è lasciata 6 vittorie e 2 pareggi nelle ultime 8 gare. E’ vero: dopo la notte arriva sempre l’alba. Ma per questo Toro il buio è sempre pesto.Sullo stesso argomentoTorino, Cairo: “Derby? Deluso come Juric. Non parlo di mercato”TorinoIscriviti al Fantacampionato Tuttosport League e vinci fantastici premi! LEGGI TUTTO

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    Cairo e Vagnati, il Toro ha un attacco penoso: fino a quando?

    Le perplessità sui limiti dell’attacco hanno accompagnato tutta questa prima parte della stagione, anche quando, a Monza e a Cremona e poi contro il Lecce, sono arrivate le uniche vittorie del Toro in dieci giornate. Adesso che nel proprio cammino Juric ha incontrato avversarie di qualità e soprattutto con panchine lunghe, il problema è esploso in tutta la sua potenza, perché se una squadra segna soltanto otto reti – peggio soltanto Fiorentina, Spezia, Cremonese e Sampdoria, tutte con una partita in meno – è evidente che puoi sostenere ragionevolmente che mancano i gol dei centrocampisti e degli esterni, ma prima di tutto, così è il calcio, manca la concretezza delle punte. È vero che nel derby il Toro si è trovato con una situazione particolare, perché un problema muscolare al polpaccio ha impedito a Sanabria di esserci e pure Pellegri è stato recuperato all’ultimo per un altro problema fisico di vecchia data che in parte ne avrà condizionato la prestazione sottotono, ma è chiaro che a fronte del poco concretizzato nelle altre partite non ci si può aggrappare a questi discorsi.
    Torino, il processo di crescita bloccato
    Juric ha saputo dare un’identità tattica alla squadra, ha provato a inventarsi qualcosa di diverso con tentativi magari discutibili (il tridente contro il Sassuolo, formato da Seck, Vlasic e Radonjic con Sanabria e Pellegri in panchina, era obiettivamente un azzardo) e tuttavia in parte dettati dalla necessità contingente, come ieri, e in parte dalla manifesta volontà di dare un segnale alla società, perché le parole pronunciate dopo la sconfitta testimoniano tutta la sua insoddisfazione. Il processo di crescita del Torino è bloccato: i punti in classifica sono gli stessi della scorsa stagione, la prima con il croato in panchina, e frutto dello stesso score (tre vittorie, due pareggi, cinque sconfitte), però le reti sono dimezzate. Non accadeva da otto anni che i granata arrivassero a questo punto del campionato con un bottino così misero: c’era Ventura e i gol erano sette. Riprendersi da una sconfitta nel derby, ancorché diventata una triste abitudine, non sarà facile, tanto più considerando che, dopo la partita di Coppa Italia contro il Cittadella, il Toro andrà a Udine e affronterà poi in casa il Milan. Ma intanto è necessario che Cairo e Vagnati prendano atto che, insieme al centrocampista di sostanza più volte invocato da Juric e magari rinunciando all’ennesimo trequartista, l’acquisto di un attaccante a gennaio è diventato imprescindibile e non potrà essere un elemento di secondo piano. Serve un titolare, serve un giocatore sul quale investire una parte sostanziosa dei ricavi propiziati dalla cessione di Bremer. Il direttore tecnico nelle ultime settimane è stato in giro per l’Europa a cercare occasioni e ha presentato al presidente una lista nella quale non può non comparire il nome di una punta: l’unico modo per riuscire a dare un senso a una stagione che altrimenti rischierà di scivolare in un anonimato deprimente del quale tutti farebbero volentieri a meno.
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    Cairo, ma una punta per il Toro la compri?

    Basterebbe un Destro

    Una roba allucinante, sì, per ricorrere a un aggettivo caro a Juric per provare a spiegare l’inspiegabile. Che poi non è nemmeno inspiegabile, anche se a volte si fa davvero fatica a crederci: la verità è che il Toro – squadra composta da calciatori in parte di medio livello, in parte di livello basso, ma con un impianto di gioco brillante, coraggioso e fin troppo coerente in qualsiasi contesto agonistico – non ha un attaccante degno di tale definizione; di bomber, goleador, non parliamo nemmeno. Con quanto la squadra costruisce, basterebbe – le sarebbe bastata – un mestierante d’area di rigore (avversaria). Nei giorni scorsi, in vista della partita con l’Empoli, lo avevamo indicato più volte proprio in Mattia Destro: niente di che, ma comunque uno che quando sente – non necessariamente vede, come ieri, quando stava di spalle – la porta, sa comunque che cosa fare per creare i presupposti di un pericolo. Con Destro, un Destro qualsiasi, al posto dell’inconcludente Sanabria o del poco sereno Pellegri, entrato al posto del paraguaiano per l’assalto finale, ieri il Toro avrebbe vinto. Bon. Ma vinto largamente, eh. Anche invertendo i portieri, ma questo è un altro problema.

    Se ci si mette pure l’arbitro

    Comunque 20 tiri malcontati, di cui 7 in porta; un palo clamoroso a porta vuota; due gol annullati per fuorigioco in partenza di pochi centimetri; due terzi del totale di possesso palla; parate strepitose di Vicario su tiri a botta teoricamente sicura, a differenza di Milinkovic-Savic che avrebbe dovuto prenderne una, soltanto una, neanche tanto difficile e forte, e invece è andato nuovamente giù come un sacco di patate, goffo, senza spinta, senza slancio, su una rovesciata prevedibile stante la marcatura a due metri di Djidji. Poi, certo, il Toro si è innervosito, non ha più giocato bene come aveva cominciato, ma è anche comprensibile. Soprattutto contro un avversario che non solo si è difeso dall’inizio alla fine – legittimo, per quanto arcaico – ma ha perso una quantità di tempo pazzesca, complice un arbitraggio assolutamente funzionale a tale intento. Il signor Fourneau ha dato 5 minuti di recupero quando già 15 sarebbero stati pochi, e di quei 5 (con il Toro rivitalizzato dal pari al 90’) ne ha fatti giocare forse la metà. Quelli dell’Empoli, poco prima, avevano addirittura avuto il coraggio di contestare una mancata restituzione di palla dopo aver cercato di fare melina anche una volta che era stata loro ridata, dopo che l’avevano buttata fuori perché uno dei loro si era accasciato a terra per la seconda volta in pochi minuti, perdendone in totale almeno tre. A proposito: solo in Italia vige ancora questa consuetudine assurda, irregolare, quasi omertosa negli atteggiamenti da uomo d’onore dell’interessato di parte: la regola dice che soltanto l’arbitro è autorizzato a fermare il gioco, in caso di incidente palese o potenzialmente pericoloso per il sinistrato, tipo una botta in testa; non certo per crampi più o meno presunti o per stanchezza quasi sempre capziosa, cose che nello sport farebbero parte del gioco. Non nel calcio italiano, però, dove quando si perde ci si rialza in un amen anche se moribondi e quando si punta a mantenere il risultato si fanno (e si tollerano) delle sceneggiate indecorose. Di qui, al solito, la classica, tristissima gazzarra, tra sguardi torvi e minacce di ritorsione. Così da perdere ancora un bel po’ di altro tempo e consentire all’arbitro la sceneggiata finale di qualche inutile ammonizione a caso. Punto e a capo. Anzi, ancora no. Il signor Fourneau – come già il suo collega Ayroldi un mese fa a San Siro in Inter-Torino, che si era rimangiato il rosso a Sanabria per una sbracciata assolutamente ordinaria in un contrasto aereo con Calhanoglu – ha avuto bisogno di essere richiamato al Var per capire che lo stesso paraguaiano non aveva commesso fallo da espulsione sull’empolese Cambiaghi; per salvare in parte la faccia è passato dal rosso al giallo, ma in realtà non era nemmeno fallo. La verità è che ormai certi arbitri non vedono più, da soli, manco le cose più evidenti, le dinamiche di gioco fisico più elementari, basilari nel calcio; perfino sui calci d’angolo sbagliano con una frequenza impressionante, non ravvisando deviazioni evidenti anche solo dal “rumore” del pallone, oltre che dalla sua traiettoria.

    20 occasioni, un gollonzo

    E la verità, tornando al Toro senza un mestierante del gol, è che – ribadiamo per l’ennesima volta – mai come quest’anno sarebbe bastato davvero poco a Cairo per far diventare il lavoro di Juric un’opera ambiziosa e non la solita incompiuta. Undici punti in 9 partite, per una squadra che gioca sostanzialmente sempre all’attacco, perfino quando dovrebbe darsi una calmata e ragionare un po’, ma ha segnato fin qui la miseria di 8 reti, sono per certi versi un miracolo. Come, paradossalmente, quel gollonzo di Lukic. Episodio che in sede di consuntivo non si capisce bene se faccia più ridere o piangere; di sicuro, alimenta più la rabbia che non un senso di sollievo. Basti dire che perfino Zanetti, tecnico dell’Empoli, pur raggiunto allo scadere ha avuto l’onestà di ammettere che gli era andata di lusso e basta. Né dà sollievo vedere il Toro che per una volta nel finale l’aggiusta parzialmente anziché rovinarla. Perché il calcio, anzi una squadra di calcio, dovrebbe essere un’altra cosa. Dovrebbe avere intanto una spina dorsale razionale e solida – con elementi affidabili almeno nei 3 ruoli chiave: portiere, perno di centrocampo, punta – e poi fare il resto in base alle idee di gioco e alle qualità tecniche e atletiche degli interpreti a disposizione. I quali invece, nel caso di Juric (ancora in tribuna per squalifica e sostituito da Paro) spostano un po’ più in là il teorema: non hanno la minima idea di cosa debbano fare al momento del dunque; proprio non conoscono l’abc del gol. Arrivano tipo in tre/quattro al limite dell’area, di gran carriera dopo fraseggi veloci e ficcanti, con almeno uno di loro libero, e tu pensi: ok, stavolta lo fanno, dai. E invece niente: sempre la scelta o l’esecuzione sbagliata. Mai l’individuazione del corridoio giusto dove far filtrare il pallone, anche quando la giocata si prospetta elementare, basica. Fino all’anno scorso almeno c’era Belotti a togliere qualche castagna dal fuoco dei consueti mercati insufficienti; adesso, nessuno. Un bel mazzo di trequartisti e mezze punte, alcuni pure promettenti e sovente brillanti, ma non uno che abbia chiaro in testa il concetto fondante del calcio: bisogna buttarla dentro, o quantomeno provarci, senza troppi ti-tic e ti-toc, riserve mentali, giocate frufrù.

    Rinforzi? Silenzio

    Sabato c’è il derby, contro la Juve più disastrata di questi ultimi anni. Al netto del classico granatismo, cioè pessimismo cosmico dei tifosi del Toro, per cui “vedrete che si risolleveranno contro di noi” oppure “tanto in qualche modo perderemo pure questa, come al solito da 17 anni a questa parte”, la questione deraglia nella solita, frustrata, disperata domanda: Cairo, ma almeno a gennaio un attaccante che possa sostituire il Gallo perduto lo prende? Gliel’hanno chiesto, all’uscita dallo stadio. Ovviamente, non ha risposto. Che gliene importa, in fondo, a lui? Il decimo posto, la sua stella polare, tanto è sempre lì.

    Lo scorso agosto, alla corte del presidente più inviso della storia granata, si erano risentiti per il 5 e mezzo dato da Tuttosport in pagella al mercato estivo del Torino FC, invece esaltato da altri media. Era un voto sbagliato, ingiusto, erano stati pronti a lagnarsi e a rinfacciare dopo le prime due vittorie contro le neopromosse. Avevano ragione. Era troppo alto. LEGGI TUTTO

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    Izzo, il Torino, Juric e la rinascita a Monza

    TORINO – Ivan Juric l’ha messo tra i fuori progetto con Simone Verdi e Simone Zaza. Zaza ha rescisso, Verdi è andato a Verona e lui, Armando Izzo, è già idolo al Monza. «Sono venuto qui – dice a Mediaset il difensore – perché è una società molto ambiziosa, un po’ come sono io. Qui si può crescere molto, si respira una bellissima aria, c’è tanta positività. Sono in prestito secco dal Torino, con i tifosi granata e il presidente Cairo ho un bellissimo rapporto. Il mister (Juric, ndr) ha fatto altre scelte, anche se non le condivido le accetto». LEGGI TUTTO