TORINO – E dire che era ripartito benino, Urbano Cairo. Quasi bene. Perfino benissimo, almeno facendo poco entusiasmanti raffronti, all’insegna cioè del meno peggio, con le sfiancanti tempistiche dei mercati scorsi, giusto per non ripercorrere il suo intero quindicennio di reggenza. Tre rinforzi nel cuore di agosto, a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro: due terzini – Ricardo Rodriguez, scaricato dal Milan; Mergim Vojvoda, acquistato dallo Standard Liegi – e un interno di centrocampo, Karol Linetty, prelevato dalla Sampdoria dopo un curioso tira e molla con il presidente Ferrero. Il tutto per una spesa complessiva, bonus più bonus meno, di 17 milioni e mezzo. Abbiamo massimo rispetto dei soldi, specialmente quelli altrui, per cui non ci permettiamo di dire che siano pochi, però ecco: non è esattamente il tipo di investimento – per quantità di esborso e soprattutto qualità di scelte, in questo caso non prioritarie – che ci si aspetterebbe da una società importante, con i conti a posto, dal nobile lignaggio ma dal recente passato inglorioso, con una tifoseria totalmente da riconquistare sul piano dell’affetto, della partecipazione e della fiducia, con un allenatore nuovo che Cairo ha detto di avere inseguito per anni (dopo che a suo tempo aveva sognato Mazzarri e un po’ tutti gli altri panchinari di volta in volta assunti e poi esonerati); un allenatore che – a detta di tutti, sé stesso e i suoi collaboratori/parenti in primis – ha bisogno di essere quasi scientificamente assecondato negli input tecnici, oltre che pazientemente atteso nel compito di trasformare in risultati concreti i propri dettami tattici.
Cairo: “Torreira? Il Torino segue anche altri nomi”
I nodi
Il tempo, già. O meglio, le tempistiche. Eccolo, il vero nodo della rivoluzione-Giampaolo messa in cantiere al Toro. Proprio perché l’insegnante di calcio abruzzese ne necessita più della media dei colleghi, sarebbe il caso di procurargli con buon anticipo i pilastri del suo impianto di gioco: ovvero il regista – che oggi proprio non c’è (Rincon ci sta provando, ma fa un altro mestiere nella vita; il giovane Segre sarebbe un altro riciclato, comunque un adattamento) – e il trequartista, ruolo nel quale adesso si cimentano alternativamente Verdi e Berenguer, dopo vari e infruttuosi esperimenti tentati nella stagione scorsa. Questo per coerenza progettuale. Poi ci sono altri fattori, non secondari, da considerare. Il Toro è reduce da una delle stagioni più mortificanti della propria storia: non già per l’esito meramente numerico delle competizioni cui ha partecipato (sedicesimo posto in Serie A; eliminazione dall’Europa League – conquistata per estromissione del Milan – prima di accedere al tabellone principale; uscita ai quarti di finale dalla Coppa Italia dopo aver superato un solo turno, tremando, col Genoa), ma per le dinamiche sconcertanti e gli episodi umilianti che ne hanno segnato il cammino. […]
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