Carlo Nicolini: “Shakhtar miracolo di popolo”
Nel calcio si tende ad abusare della parola miracolo. La si usa per una vittoria, uno scudetto, una salvezza, a volte semplicemente per un gol, un assist, una parata. La squadra miracolo in questo momento in Europa è una e una soltanto: lo Shakhtar Donetsk. Provate a immaginare di dover vivere una stagione senza un campo di allenamento vostro, uno stadio dove poter giocare le partite di campionato e quelle europee, di dover praticamente cominciare da zero nonostante in bacheca abbiate tredici titoli nazionali, altrettante Coppe d’Ucraina, 9 Supercoppa del Paese e una Coppa Uefa (l’ultima della storia, quella del 2009), un quarto di finale di Champions League e due semifinali in Europa League. Eppure allo Shakhtar la scorsa primavera questo hanno dovuto fare. Un anno fa, in testa alla classifica, si vedevano interrompere il campionato per lo scoppio della guerra e dopo aver fatto soffrire il Real Madrid (poi campione) nel girone di Champions League, tutto era finito all’improvviso. L’allenatore De Zerbi e il suo staff tornavano in Italia, dopo aver vissuto da vicino i primi drammatici giorni del conflitto bellico, i giocatori più rappresentativi chiedevano immediatamente di essere messi sul mercato. A giugno, quando Zelensky aveva deciso che si sarebbe ripreso a giocare nonostante tutto, lo Shakhtar Donetsk è ripartito con una montagna di problemi. Tecnici e logistici. Ceduti Dodò alla Fiorentina, David Neres al Benfica, Marcos Antonio alla Lazio e Fernando al Salisburgo, rescisso il contratto con De Zerbi, con il nuovo allenatore Igor Jovicevic (ex Dnipro-1) si è dovuto resettare e ricominciare con una squadra di quasi solo ucraini. Molti giovani. Forti, ma giovani. Lo Shakhtar Donetsk, giudicato campione d’Ucraina per effetto della classifica cristallizzata, si è dovuto rituffare nella Champions League chiedendo ospitalità (a pagamento s’intende) al Legia Varsavia per poter utilizzare un paio di campi di allenamento e lo stadio. Altrimenti l’Uefa non avrebbe ovviamente consentito che si giocassero partite europee in Ucraina. Varsavia dista 14 ore di pullman (considerate anche le tempistiche alle dogane), l’unico mezzo utilizzabile dato che sui cieli ucraini non si può volare, da Leopoli, la città dove lo Shakhtar ha dovuto fare base affittando anche lì campi di allenamento e stadio per disputare la Premier Liha Ucraina. Dal 2014, con lo scoppio della guerra nel Donbass, questo club aveva già dovuto emigrare da Donetsk per andare a Kiev. Ora, ovviamente, nemmeno Kiev rispecchia più i parametri Uefa, anche se qualche partita del campionato ucraino si è giocata nella Capitale in condizioni assurde: al suono delle sirene, che annunciavano un imminente bombardamento, le squadre hanno dovuto più di una volta rifugiarsi negli spogliatoi tenendo ferma la partita anche per un’ora poi rientrando per giocare i minuti restanti oppure dandosi appuntamento al giorno dopo. Nel girone di Champions League, gli uomini del presidente Akhmetov hanno chiuso al terzo posto dietro Real Madrid e Lipsia, tenendosi alle spalle il Celtic e ottenendo il pass per l’Europa League dove sono riusciti a qualifi carsi la scorsa settimana eliminando, nel playoff, il Rennes dopo i calci di rigore. LEGGI TUTTO