“Il Toro può lottare per l’Europa. Coco, la sua valutazione tra due anni…”
«Ho ancora addosso l’adrenalina del mercato. È stata un’estate molto complicata e faticosa. Ci siamo salvati solo a fine stagione, poi subito dopo ho dovuto lavorare per la conferma di Gotti. Quindi le trattative per dargli la rosa giusta. Si è alzata molto l’asticella della lotta per evitare la retrocessione. È stato un mercato duro, estenuante, complesso». Ma a 74 anni lei continua a vivere una primavera dopo l’altra: è ammirevole per come mescola competenza e passione. «Da leccese quale sono, di Vernole, lavorare per la mia terra, per il Salento e i salentini mi dà una carica pazzesca e mi fa stare bene. Il Salento ha un milione di persone legate visceralmente al Lecce. La squadra coincide con l’identità del territorio e di un popolo. Per me, per il presidente, per tutti noi non deludere le aspettative dei tifosi è un’esigenza quasi sacra. Il senso di appartenenza è condiviso. Per noi significa responsabilità maggiori. Ma anche gli stimoli sono più grandi». Sua moglie le chiede ancora quando smetterà? «No, si è arresa. Tutte le mattine mi alzo con una voglia pazzesca. E lei sa cosa desidero». Ovvero? «Il mio sogno è morire in pista come i cavalli di razza». Parliamo di vita, Pantaleo! «Mia moglie me lo ripete sempre: credevo di aver sposato un sottufficiale, ma appena due giorni dopo il matrimonio lasciavi l’Aeronautica Militare e diventavi il ds della squadra del tuo paese in Terza categoria. Ed è vero, eh! A febbraio festeggeremo i 50 anni di matrimonio, ma anche di carriera. Dal Vernole alla Champions. Oltre mille partite da ds dalla Terza categoria alla B. E nel corso di questo campionato arriverò a 700 gare in A, di cui 300 nel Lecce tra il mio primo e il secondo ciclo, dopo Bologna e Fiorentina. In testa ho una cosa sola: la terza salvezza di fila. Sarebbe un record nella storia del Lecce». E le ambizioni di Sticchi Damiani? È facile lavorare con lui? «La domanda deve essere posta così: come mi trovo a lavorare con lui? Bene, benissimo. Mi supporta e mi sopporta. Portiamo la stessa bandiera, per noi il Salento è bellezza. Anche gli altri soci del club sono tutti figli di territorio come noi due. Siamo un laboratorio di idee condivise. Saverio è molto ambizioso, ma la realtà ci obbliga anche a stare coi piedi per terra. Ancor oggi lo ringrazio per l’opportunità che mi ha dato di tornare a Lecce, 4 anni fa. Il presidente ha un senso di appartenenza fin viscerale per il territorio. Ogni volta raddoppia gli impegni e i sacrifici per far crescere il Lecce, per migliorare le strutture e dare continuità. E lo facciamo con una sana gestione attraverso un modello di calcio sostenibile, grazie al mercato. Restando tra le squadre più giovani del campionato. Il presidente ha molto a cuore anche la realizzazione del nuovo centro sportivo per la prima squadra e il vivaio: tra poco inizieranno i lavori, sarà un gioiellino. Anche i miglioramenti dello stadio appartengono a questa prospettiva progettuale del presidente». Ma poi arriva un giorno, dopo il flop agli Europei, in cui Gravina vi accusa indirettamente per i troppi stranieri in Primavera… «Sembrava che il male del calcio fossimo noi! Assurdo! La nostra sana programmazione sia per il vivaio che per la prima squadra ci ha portato dalla B alla A e a rivincere lo scudetto Primavera, come nel mio primo ciclo. Mi ribolle ancora il sangue davanti a certe critiche ingiuste e irrispettose». Anche il Torino è stracolmo di stranieri. Idem altri club, ovviamente. Costano di meno, si sa, se non li vai a prendere nei campionati europei più importanti. «In base alle disponibilità che hai, devi cercare la qualità anche lontano nei mercati meno cari. Rischi di più nelle scelte, ma a costi inferiori. Quanti club italiani possono andare a fare acquisti in Premier, oggi? Non c’è altra scelta, in specie per i club mediopiccoli. E chi trova giovani talenti in campionati poco conosciuti deve essere applaudito per la bravura, non scambiato per il male del calcio italiano». Fiuto, conoscenze, scoperte e colpi sul mercato, garantendo quel calcio sostenibile di cui sopra: il suo marchio di fabbrica. Per dire: 1,6 milioni spesi per acquistare Pongracic, Gendrey e Blin, poi venduti per 26,5 milioni, quest’estate. «E io vi domando: con un milione e mezzo quanti talenti già formati avrei potuto acquistare in Italia? Esco da un’estate di fuoco con 12 operazioni in entrata e 19 in uscita. E con l’avvio di un ciclo tutto nuovo in Primavera: come sapete, sono il responsabile anche di quel mercato». Contratto biennale per Gotti. «La dimostrazione di quanto il presidente e io crediamo nelle sue qualità: moltissimo! E la sua mano si è di nuovo vista nell’ultima vittoria sul Cagliari: una prova fin eroica, in 10 per tutto il secondo tempo. Si è vista una squadra ben plasmata e che anche quest’anno ha una voglia enorme di sorprendere. E col Toro vogliamo rivederla, quella voglia: un’altra bella prestazione, insomma». Da quali giocatori si attende nuovi salti in alto? E poi c’è Rebic… «Falcone, Baschirotto, Dorgu, Berisha, Ramadani, Gallo e via dicendo sono già seguiti anche da grandi club. E come vedete ci sono anche degli italiani… Rebic, a 30 anni, ha scelto il Lecce per ritrovare motivazioni forti e tornare il giocatore che si laureò vicecampione del mondo e vinse lo scudetto col Milan. Confidiamo di aver trovato un giocatore importante che può darci una grande mano». A Gotti ha detto: «Dimmi con che modulo vuoi giocare e io ti trovo i giocatori adatti». Detto, fatto. Come nel Toro, promesse a parte… «Colgo sarcasmo». Coglie bene. «Scusate, ma io guardo al mio Lecce e per rispetto non commento mai il lavoro degli altri. E poi Cairo ha la mia stima, lo sapete». Gli ha parlato di recente? «Di recente no, ma tempo fa mi telefonò per farmi i complimenti per come facciamo calcio a Lecce. Un bel gesto, affettuoso». È di nuovo contestato, Cairo. «Io posso solo dire che mi dispiace per lui, conoscendolo. Ma, ripeto, guardo in casa mia, non altrove. So che la contestazione è scoppiata perché ha venduto giocatori importanti, ma a volte le società sono obbligate a fare così per il bene della squadra e dei bilanci, di fronte a giocatori che aspirano ad altri stipendi e ad altre ambizioni. È un problema, un dato di fatto che condiziona un po’ tutti i club, a livelli diversi. Nessuno vorrebbe vendere i propri giocatori migliori, dai… Ma ormai con la sperequazione economica che c’è, alcune cessioni sono quasi inevitabili. Quando Cairo tenne a forza certi giocatori, poi l’ha pagata. Parliamo delle belle operazioni fatte dal Toro in entrata? Innanzi tutto Vanoli: ha una tale esperienza internazionale che gli ha permesso di non far notare a nessuno il fatto che fosse all’esordio in A. Visto da fuori, sta lavorando benissimo. Esattamente come Gotti, ha conoscenze, carisma, cultura del lavoro, eclettismo tattico ed è anche una persona schietta e perbene. Il Toro ha cominciato benissimo il campionato per merito del nuovo tecnico, ma anche grazie alle belle operazioni realizzate dalla società. Difatti può anche lottare per l’Europa, con Vanoli e la rosa ben congegnata e completa che ha. Vendere bene, trovare ogni volta nuovi talenti a basso prezzo e fare anche risultato sul prato è la mia vita, ma direi che questo modello di calcio sostenibile è anche il metodo che sta seguendo il Torino di Cairo, ovviamente a un livello ben più alto. Uno come Coco, per esempio, subito partito alla grande, dopo due buoni anni in A potrebbe valere anche 25 o 30 milioni, cioè il triplo o il quadruplo di quanto è costato. O Adams, preso gratis: se si mette a segnare un po’ di gol pure in Italia, può valere anche 20 milioni, tra un po’». LEGGI TUTTO