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    Ibrahimovic, al Festival dello Sport i gol e le magie di un genio anche un po’ italiano

    Domenica 15 ottobre al Teatro Sociale di Trento il campione sarà protagonista di un grande evento che celebrerà la sua carriera, tra Milan, Inter, Juve e non solo

    Ha vinto ovunque, ha riempito la scena – con la sua smisurata classe, la sua straripante personalità – per venti e passa anni di calcio, ha saputo essere antico e moderno allo stesso tempo e se qui si parlasse di letteratura lui sarebbe fuori dal tempo come tutti i grandi classici, che durano in eterno e che ogni volta regalano nuove prospettive per guardare il mondo. È stato un campione e un marchio. Ibra. Un suono, una sentenza. Zlatan Ibrahimovic.

    come il jazz—  Lo scrittore svedese Bjorn Ranelid ha scritto: “Ibra crea movimenti che non esistono nel mondo reale: le sue sono improvvisazioni jazz”. Unico dalla prima all’ultima squadra, dal Malmø al Milan, ha rappresentato l’evoluzione del centravanti. 192 centimetri, 84 chili di peso forma, piede numero 47, dimostrazione vivente che le misure non contano, perché la magia e la grazia risiedono nell’equilibrio, nell’armonia che uno sa trovare dentro di sé. Ha unito come nessun altro la superbia, lo straordinario talento e la forza fisica. È stato tuono e folgore, ogni gol – ne ha fatti 511 in carriera – uno squarcio di luce nel temporale, ogni giocata la reazione di un genio alla banalità del calcio. Zlatan in croato significa: oro. Tutto torna. Papà bosniaco, mamma croata, nato in Svezia, cresciuto calcisticamente in Olanda, esploso in Italia, nel curriculum i grandi club d’Europa: Ajax, Juventus, Inter e Milan, Barcellona, Psg, Manchester United, quindi Los Angeles. Se ne andò dall’America con una frase ad effetto: “Ora potete tornare a giocare a baseball”. Da bambino aveva imparato i trucchi del mestiere dai suoi amici Goran, macedone, e Gagge, bulgaro, giocando per strada, a Toernrosen – lo chiamavano con disprezzo il campetto degli zingari – tra il cemento dei palazzoni di Rosengard, il quartiere-ghetto dove è venuto su, a Malmø: è egli stesso un bignami di melting pot pallonaro. Nei suoi geni e nella sua formazione si sono uniti in matrimonio l’imprevedibilità del calcio slavo e la fisicità di quello del nord Europa, ma è stata l’amata Italia – dove ha speso dieci anni della lunghissima carriera – ad avergli regalato le soddisfazioni maggiori e ad averlo completato. Da film il primo incontro con Fabio Capello, all’epoca sulla panchina della Juve. Capello lo convoca nello spogliatoio, lo invita a sedersi, inserisce un VHS su un vecchio registratore e gli fa: “Mi ricordi Van Basten, ma lui si muoveva meglio di te. Qua ci sono tutti i suoi gol. Guarda e impara”. In ogni squadra è stato ora genio solitario ora leader, trascinatore, capopopolo e modello, persino chioccia come nell’ultimo Milan, presenza totemica e accentratore di responsabilità per dna, qualche volta soldato di ventura, sempre bandiera sì, ma di se stesso. Ha raccolto più di chiunque altro nei campionati nazionali, ma quasi nulla nelle coppe, il suo rimpianto più grande.

    inno alla bellezza—  Non ha mai vinto il Pallone d’oro, colpa della concomitanza temporale dei due cannibali, Cristiano Ronaldo e Messi. L’avrebbe meritato? Sì, sicuro che l’avrebbe meritato. Una compagna, Helena, due figli, Maximilian e Vincent, il dolore di un amico che non c’è più – Mino Raiola – una vita vissuta sempre di rincorsa, spesa a dimostrare di essere il migliore e a ribadirlo nella sua autobiografia, “Adrenalina – My untold stories” (ed. Cairo), scritta con Luigi Garlando. Uomo di spettacolo per naturale attitudine, a calamitare l’attenzione basta la posa-cyborg – come a Sanremo – la propensione alla battuta – “Zlatan, è vero che hai comprato una Porsche? No, ho ordinato un aeroplano. È molto più veloce” oppure “Che regalo ho fatto a mia moglie per il suo compleanno? Niente, lei ha già Zlatan” – o una comparsata, come nel film della saga di “Asterix e Obelix: The Middle Empire”, dove recitava nel ruolo di Antivirus. Il Festival di Trento lo omaggia con una grande evento per celebrare la sua splendida carriera. Ibra è stato il meno classificabile tra i grandissimi del football, un inno alla bellezza e all’armonia. Ha smesso un attimo fa col calcio giocato, non ha smesso mai di sentirsi uomo di calcio. Ci sarà ancora un destino da condividere. Ibra è infinito: per l’infradito c’è tempo. LEGGI TUTTO

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    Salernitana, Filippo Inzaghi oggi in città: accordo sino a giugno, obiettivo salvezza

    Il 50enne di Piacenza prende il posto del portoghese: porta con sé il suo storico staff, prevista un’opzione per la prossima stagione in caso di permanenza in A. Da valutare la posizione di Ribery, già collaboratore di Nicola e Sousa

    Pippo Inzaghi torna in serie A con una missione difficile ma non certo impossibile: conquistare la salvezza con la Salernitana. Le sue motivazioni hanno fatto la differenza e conquistato il presidente del club campano Danilo Iervolino nella cena di lunedi sera consumata in un ristorante di Milano insieme all’amministratore delegato Maurizio Milan ed al d.s. Morgan De Sanctis che, con Inzaghi, ha condiviso da calciatore esperienze con la Juventus ed in azzurro. La Salernitana ha salutato Paulo Sousa ed è pronta ad accogliere il nuovo allenatore che eredita una squadra al penultimo posto in classifica con soli tre punti, senza vittorie dopo otto giornate di campionato ed un bel po’ di problemi da risolvere anche all’interno di uno spogliatoio apparso piuttosto in fibrillazione in queste settimane. 

    storico staff—  Stamattina Superpippo arriverà in città, il tempo della presentazione alla stampa e poi subito in campo con il suo nuovo gruppo, seppur incompleto per l’assenza di molti nazionali. Per l’avventura sulla panchina granata Inzaghi ha chiesto ed ottenuto di poter avere al suo fianco lo storico staff che lo accompagna da anni, il secondo Maurizio D’Angelo, il preparatore atletico Luca Alimonta, il match analyst Simone Baggio ed il preparatore atletico Daniele Cominotti. In Campania troverà un suo vecchio compagno di squadra in bianconero, Michelangelo Rampulla, che farà parte del suo gruppo di lavoro. Da valutare la posizione di Franck Ribery, collaboratore tecnico sia di Nicola che di Sousa in questi mesi. Ad Inzaghi la Salernitana ha chiesto di dare una svolta nei risultati che passa inevitabilmente anche dalla risoluzione dei problemi tattici evidenziati dalla squadra in questa prima parte di stagione. Il nuovo allenatore, che ritrova la serie A dopo le esperienze con Milan, Bologna e Benevento, potrebbe puntare sul 4-3-3 anche per valorizzare pienamente le qualità offensive di Boulaye Dia (solo un gol fin qui) oltre a rilanciare calciatori finiti ai margini in queste settimane come Bronn e Fazio. Per Inzaghi accordo fino a giugno con opzione di rinnovo in caso di salvezza. LEGGI TUTTO

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    Giuntoli architetto da scudetto per la Juve: domenica sarà al Festival

    Il Football director dei bianconeri interverrà alle 11.30 di domenica 15 ottobre

    Se non avesse fatto il direttore sportivo, Cristiano Giuntoli sarebbe diventato un architetto. Così avrebbe voluto mamma Cosetta, insegnante, che sognava di vederlo laureato. E lui per un po’ ci ha provato ma dopo 19 esami la passione per il pallone ha avuto il sopravvento. Così Cristiano da San Niccolò, frazione di Agliana, paese di 18 mila anime in provincia di Pistoia (dove Massimiliano Allegri ha chiuso la carriera di giocatore e iniziato quella da allenatore), un passato da difensore tra dilettanti e professionisti, invece di progettare case si è messo a costruire squadre vincenti: dalla Serie D alla A con il Carpi fino al miracoloso scudetto con il Napoli e ora la sfida con la Juventus, che in estate l’ha voluto fortemente per aprire un nuovo ciclo tricolore. 

    Spese sostenibili—  Giuntoli, che sarà al Festival dello Sport domenica 15 alle ore 11.30, è il profeta della rifondazione bianconera, l’uomo scelto dalla proprietà per coniugare competitività e sostenibilità. La Juventus è sempre stata il suo sogno, fin da quando da ragazzino si faceva 8 ore di pullman insieme a papà Tiziano, scomparso nel 2005, per andare a vederla dal vivo. I suoi idoli erano Boniek e Platini, adesso toccherà a lui scovare i campioni del futuro che sapranno far luccicare gli occhi dei piccoli tifosi bianconeri. Come ha fatto a Napoli, dove ha costruito il gioiello consegnato nelle sapienti mani di Spalletti. Il metodo Giuntoli è un mix di intuizioni e programmazione. E’ abituato a lavorare con le risorse che le società gli mettono a disposizione, il suo obiettivo è creare squadre autosufficienti: più incassi, più spendi. Giuntoli è maniacale e non lascia niente al caso: controlla tutto, dall’erba del campo all’alimentazione dei giocatori. Quando non è al campo, passa le giornate tra filmati e telefonate, la sua forza è uno scouting capillare grazie a una fitta rete di contatti e collaboratori. Così ha scovato Osimhen, Kim e Kvaratskhelia, grandi colpi con stipendi sostenibili, ma anche Lasagna ai tempi del Carpi. Chi lo conosce lo descrive come un amplificatore, capace di esaltare le qualità di chi lavora con lui o gioca nelle sue squadre. A Napoli ha lavorato con tanti allenatori, da Sarri a Spalletti, e con tutti ha instaurato un buon rapporto. A Torino ha trovato Allegri, toscano e ambizioso quanto lui. L’architetto dello scudetto è arrivato alla Juventus per rimettere i conti a posto e riportarla all’antico splendore. LEGGI TUTTO