consigliato per te

  • in

    Cheddira, bomber d'Italia, merita l'azzurro

    TORINO – Non si ferma più, sono già 8 reti e siamo solo a inizio settembre. Walid Cheddira, 24 anni, origini marocchine ma nato a Loreto nelle Marche, non è solo l’uomo in più del Bari, ma di tutto il calcio italiano: nessuno da inizio stagione ha segnato di più in gare ufficiali. Già 8 gol, appunto, così ripartiti: 5 in Coppa Italia (2 al Padova nel preliminare, 3 al Verona al 1° turno), 3 in campionato per tre partite di fila (nell’1-1 col Palermo, nel 3-1 al Perugia e sabato scorso nel 2-2 con la Spal). Walid, in questo inizio di annata, sta tenendo una media realizzativa stratosferica, segna un gol ogni 65’. E mettiamoci anche un rigore procurato e un assist nel 2-2 del suo esordio in B a Parma. Un talento indiscutibile che dopo l’ultima rete è stato orgogliosamente celebrato dal Bari sui social. E se ne sono accorti anche in Marocco: osservatori della Nazionale sono già andati a vedere Cheddira di persona al San Nicola, quando c’è una tifoseria che impazzisce per lui (il suo nome viene simpaticamente storpiato in Ualino, Pasqualino in barese) e anche Aziz, il padre di Walid, già calciatore di buon livello in Marocco, va in curva con gli ultrà a sostenere il figlio. Prestazioni che, si sussurra, avrebbero convinto il neo ct del Marocco, Hoalid Regragui, un oriundo come Cheddira ma nato in Francia, a chiamarlo per il paese dei suoi genitori, magari già a fine mese, quando il Marocco sosterrà due amichevoli. Insomma, ci sarebbe da spicciarsi per non correre il rischio di perderlo, Cheddira può fare molto comodo anche al calcio azzurro. Quest’estate il ct Mancini ha preannunciato che seguirà la Serie B con molta attenzione e dunque le sue prove non gli saranno certo sfuggite. Del resto, la B ha già dimostrato di essere molto formativa anche in chiave azzurra. Quando a giugno Mancini ha portato con sé per le partite di Nations League due come Gatti e Zerbin, che avevano appena chiuso la stagione da protagonisti in B nel Frosinone, il ct ha avuto ottimi riscontri. Chiamare Walid vorrebbe dire, quantomeno, non perderlo per il futuro perché il ragazzo ha intrapreso un’ascesa che pare travolgente. Basta non dirlo a Parma, dove si stanno ancora mangiando le mani per lui. Perché il club emiliano era stato il primo a scommettere su Cheddira scovandolo, ai tempi del ds Faggiano, in Serie D nella Sangiustese, dove in due stagioni da Under aveva messo a segno 19 reti. Gli emiliani lo misero sotto contratto senza poi mai fargli giocare una partita in maglia crociata. Quando era del Parma, Cheddira è sempre andato in prestito in C, con risultati che non facevano presagire la sua attuale esplosione: Arezzo, Lecco, Mantova, fino al Bari, dove nella passata stagione dà un buon contributo alla promozione in B dei pugliesi (7 gol). Così quest’estate il club pugliese e il Parma si sono sedute a un tavolo per discutere il riscatto. Astuto il ds dei pugliesi, Ciro Polito: ha lasciato che decadesse la cifra pattuita un anno prima (700mila euro) e qualche giorno dopo l’ha preso per la metà: col senno di poi, un affarone, favorito dalla ferma volontà di Walid di restare in Puglia. Perché Cheddira ora a Bari sta da re, è legatissimo alla città dove, fra le altre cose, gli è nato il primo figlio. In campo, Cheddira sa essere devastante: agilità, progressione irresistibile con cui divora gli spazi, buon dribbling, grande agonismo, ottimo tiro secco e porta che la vede sempre bene. E nell’ultima rete, sabato alla Spal, ha dimostrato di avere anche doti da opportunista che non possono mancare in un aspirante bomber: prima ha impostato l’azione servendo Antenucci, e quando il tiro dell’esperto attaccante s’è spento sul palo, Walid aveva letto tutto bene ed è stato pronto a ribadire in rete da due passi. Insomma, il ragazzo c’è tutto anche perché nelle sue dichiarazioni Walid dimostra di avere la testa sulle spalle. “Non mi pongo obiettivi, solo lavorare al meglio partita dopo partita – ha dichiarato ai canali ufficiali del Bari -. Quello che conta è il risultato di squadra. A livello personale, un attaccante punta sempre alla doppia cifra, ma ho tanto da migliorare. Rispetto alla C, quest’anno ci sono più spazi, le squadre giocano di più. Questo mi può aiutare”. E ora, non sarebbe male se il ct Mancini aiutasse lui nella sua irresistibile ascesa. LEGGI TUTTO

  • in

    Serie A, il gol non parla italiano

    TORINO – Tre giornate di campionato sono davvero poche per poter già azzardare una conclusione su rapporti di forza ben definiti, soprattutto considerando che le gare si stanno giocando a mercato ancora aperto, ma almeno un paio di dinamiche emergono già con sufficiente chiarezza. La prima, di cui abbiamo già scritto e ragionato, riguarda il sempre maggiore divario tra squadra di prima e terza fascia (quelle impegnate nella lotta per non retrocedere): un solco già ampio che si è fatto voragine in conseguenza anche dell’aberrazione dei 5 cambi. L’altro, di cui pure si parla e si continuerà a discutere, è la “crisi d’italianità” che sempre più affatica la Serie A. Tralasciando le statistiche oramai ampiamente note sull’utilizzo di giocatori italiani (31 per cento che scende al di sotto del 30 nei club che giocano le coppe), c’è un dato che acclara ancora di più questa tendenza, e per di più in un ruolo cruciale: quello degli attaccanti. Per la prima volta nella storia, infatti, dopo 3 giornate nella classifica marcatori non c’è un italiano che ha segnato più di un gol. Con il solito Immobile che si è preso una pausa dopo il gol all’esordio, infatti, la classifica marcatori è monopolizzata dagli stranieri. Si sono affacciati Pinamonti e Bonazzoli, ma restano fermi a un gol e, anche in quella casella, sono davvero pochi (aggiungete Lasagna e Politano) gli italiani “di ruolo” andati a segno. Un bel problema per il ct Roberto Mancini che tra poco dovrà diramare le convocazioni per le ultime gare di Nations League del 23 settembre (con l’Inghilterra a San Siro) e del 26 settembre (a Budapest contro l’Ungheria). Anche perché dall’estero non è che arrivino buone notizie dai nostri emigranti: Scamacca è ancora a secco in Premier con il West Ham e Lucca ha racimolato appena 21 minuti in Olanda con l’Ajax. Se a questo aggiungete che anche un altro ruolo cardine (quello dei centrali difensivi) è monopolizzato dagli stranieri (da non trascurare, al proposito, la confortante novità di Alessandro Buongiorno nel Torino), allora ecco che il quadro diventa fosco. La Figc monitora, preoccupata, la situazione e valuta la possibilità di cambiare la norma sulle rose introdotta dall’allora Carlo Tavecchio all’indomani dell’eliminazione dal Mondiale brasiliano nel 2014. Norma che prevede, sulla rosa di 25, il 4+4: vale a dire i 4 giocatori formati nel club e i 4 formati in un vivaio italiano. Passando, se la situazione, non migliora, al 5+5 o addirittura al 6+6. Ma attenzione, perché da quando è stata introdotta quella norma, gli stranieri sono aumentati invece che diminuiti. Evidentemente, non è la soluzione giusta e per capirlo basta guardare alle dinamiche demografiche e di reclutamento. Pensate, per esempio, che uno dei primi inseribili in rosa come “formati in Italia” è stato Pandev, colui che con la Macedonia (ancora…) mise più di un mattoncino per determinare la successiva eliminazione dell’Italia di Ventura dal Mondiale di Russia. Questo perché la regola non esclude affatto gli stranieri ma comprende gli “atleti che dai 15 ai 21 anni di età hanno trascorso almeno 36 mesi nella rosa di un club italiano (vivaio nazionale) o della stessa società (vivaio di club)”. Ovvio che vi possano essere stranieri. Il vulnus si è ancora più aggravato ora che i vivai sono pieni di italiani di seconda generazione, che quindi possono essere tesserati tra i “formati” ma non sono arruolabili in Nazionale perché privi della cittadinanza. Si, certo: servirebbe almeno lo ius soli sportivo, però con questi chiari di luna all’orizzonte è davvero difficile che si possa immaginare una simile volontà politica e il calcio, così come molti altri sport, non potrà che rimanere penalizzato. A conferma ancora una volta di come sia una perfetta cartina di tornasole per verificare lo stato di un Paese: se il Paese non è al passo con il mutare dei tempi, neanche il calcio può farcela da solo.Iscriviti al Fantacampionato Tuttosport League e vinci fantastici premi! LEGGI TUTTO

  • in

    Mancini, hai visto Cheddira?

    TORINO – Segnarsi il suo nome e cognome, Walid Cheddira, 24 anni, origini marocchine ma nato a Loreto: ci si può scommettere, di strada ne farà parecchia. A Bari, sono tutti pazzi di lui, è il giocatore che ha più segnato in Italia nelle gare ufficiali di questo inizio di stagione. Già sei gol, così ripartiti: 5 in Coppa Italia (2 al Padova nel preliminare, 3 al Verona al 1° turno), 1 in campionato (nell’1-1 col Palermo) e mettiamoci anche un rigore procurato nel 2-2 dell’esordio in B a Parma. Già, il Parma, dove si stanno mangiando le mani per lui, perché il club emiliano era stato il primo a scommettere su Cheddira scovandolo, ai tempi del ds Faggiano, in Serie D nella Sangiustese, dove in due stagioni da Under aveva messo a segno 19 reti. Gli emiliani lo misero sotto contratto senza poi mai fargli giocare una partita in maglia crociata. E’ sempre andato in prestito in C: Arezzo, Lecco, Mantova, fino al Bari dove nella passata stagione dà un buon contributo alla salita in B dei pugliesi (7 gol). Così quest’estate Bari e Parma si sono sedute a un tavolo per discutere il riscatto. Astuto il ds dei pugliesi, Ciro Polito: ha lasciato che decadesse la cifra pattuita un anno prima (700mila euro) e qualche giorno dopo l’ha preso per la metà, col senno di poi, un affarone. Dicevamo come a Bari siano pazzi di lui e lui pazzo di Bari (lì gli è nato il primo figlio). I tifosi, storpiando simpaticamente il nome Walid, lo chiamano Ualino (Pasqualino in barese) e a ogni partita accolgono in curva il padre Aziz, il suo primo tifoso, che fu un calciatore di livello in Marocco. In campo, Cheddira sa essere devastante: agilità, progressione irresistibile con cui divora gli spazi, buon dribbling, grande agonismo, ottimo tiro secco e porta che la vede sempre bene. Adesso però, è il momento di non tradire tante buone premesse, anche se Walid sembra avere pure la testa sulle spalle. “Non mi pongo obiettivi, solo lavorare al meglio partita dopo partita – ha dichiarato ai canali ufficiali del club -. Quello che conta è il risultato di squadra. A livello personale, un attaccante punta sempre alla doppia cifra, ma ho tanto da migliorare. Rispetto alla C, quest’anno ci sono più spazi, le squadre giocano di più. Questo mi può aiutare”. Ma se continua così, può diventare anche un patrimonio del calcio azzurro, considerato che il ct Mancini, dopo aver avuto ottimi riscontri con Gatti e Zerbin, ha già detto che intende seguire con più attenzione la B, che forgia sempre ottimi talenti. E forse c’è da sbrigarsi, si sussurra di una possibile chiamata dalla nazionale marocchina. Ma se continua così, gli donerebbe anche l’azzurro. LEGGI TUTTO

  • in

    Toro, guarda che effetto fa Lucca in maglia Ajax

    TORINO – (e.e.) Ecco, Lorenzo Lucca con la gloriosa maglia dell’Ajax. Fa un certo effetto vederlo con qui colori ai tifosi del Torino. Sì, perché l’attaccante, 21 anni, cresciuto in granata, è stato lasciato andare via a zero nel 2020. E’ passato al Palermo e poi al Pisa, fino alla scelta di andare all’estero, ad Amsterdam in un club che i giovani li lancia (prestito con diritto di riscatto). Il ragazzo, nato a Moncalieri, cercherà di sfondare nella squadra dei centravanti: Zlatan Ibrahimovic e Marco Van Basten, ma anche Klaas Huntelaar sono esplosi lì. Maglia numero 18, «per il futuro», scrive l’Ajax sui social. Puntando sull’italiano guardato con attenzione dal ct azzurro Roberto Mancini. LEGGI TUTTO

  • in

    Italia, quanto manca Chiellini. E lui avrebbe salutato i tifosi…

    INVIATO A MONCHENGLADBACH – Questa Italia in trasformazione sembra uno di quei frutti con un poco di polpa all’interno, ma racchiusa dentro a una scorza talmente fragile che rischia di spaccarsi al primo scossone, con il rischio che tutto quanto vada perduto senza che ne nasca nulla. Come è successo, appunto, contro Argentina e Germania: la prima e l’ultima gara di questo “mini ciclo” di 5 partite successivo all’eliminazione Mondiale contro la Macedonia. Tracciare un bilancio è complesso, anche perché ci si deve districare tra commenti eccessivi nell’uno o nell’altro senso: non era vero che dopo la vittoria contro l’Ungheria a Cesena l’Italia era rinata (o dopo il pari contro l’Inghilterra che solo tre giorni dopo ne ha prese quattro – quattro a zero – dall’Ungheria) così come non sono affatto stupefacenti le sconfitte contro Argentina e Germania che hanno aperto e chiuso il ciclo regalandoci un passivo i 8 gol subiti a zero. Ecco, se coltivassimo di più la misura e l’equilibrio nelle analisi non dovremmo ogni volta affannarci nel ricorrere a iperboli per ri-posizionarci tra esaltazione e catastrofismo. Basterebbe, per esempio, ricordare sempre che da dopo l’a vittoria contro la Spagna all’Europeo del 2016, l’Italia nei tempi regolamentari ha battuto solo una Nazionale (il Belgio che incarna il mistero gaudioso del ranking) tra le prime cinque del mondo. Insomma, ogni volta che si alza l’asticella si fatica a rimanere competitivi e lo conferma il fatto che si è perso male sia con i veterani in campo (contro l’Argentina) sia con i giovani (contro la Germania la formazione con l’età media più bassa dell’era Mancini).
    GIOVANI NON BASTA Perché, e questa è la riconferma di un assioma che dovrebbe contribuire a smontare parecchia retorica, la giovinezza non è un valore in assoluto se non abbinato al talento e a molto altro. Intendiamoci: Mancini fa bene a percorrere la strada del rinnovamento che in queste 4 gare di Nations League ha portato avanti in maniera massiccia: 12 esordienti che portano a 50 il numero totale. Ma alla fine si è forse un poco fatto prendere la mano contro una Germania troppo consolidata e più forte per potersi permettere degli esperimenti. La verità è che, esordi a parte, la Nazionale ha funzionato quando hanno giocato coloro che più hanno qualità e che le hanno già mostrate fuori dal recinto azzurro, con Pellegrini esempio più fulgido. Poi, certo, queste gare lasciano in eredità la buona prova di Gatti (ma anche lì: che Inghilterra è questa?) e la scoperta di Gnonto che, gol estemporaneo a parte, contro la Germania ha però trovato pane durissimo. E, infine, la certezza che il futuro sarà ancora un mix con il re inserimento di coloro che hanno vinto l’Europeo. Al Borussia Park, in ogni caso, si è avuta la conferma plastica di quanto mancherà Chiellini. Non solo in campo per qualità e temperamento, ma anche fuori: lui, ne siamo certi, dopo la partita si sarebbe fermato per salutare i connazionali che vivono in Germania e che, loro sì avviliti prima e derisi poi, chiedevano soltanto un gesto di amicizia. Ecco, si cresce anche così. LEGGI TUTTO

  • in

    Gnonto: Mancini lo esalta, il mercato lo chiama. In lizza Toro, Friburgo, Hoffenheim, Fiorentina…

    INVIATO A MONCHENGLAGBACH – «Quello che mi ha colpito di Gnonto, a parte che fisicamente è molto forte, è che sa giocare. Fa le cose con logica, non sembra che abbia solo 18 anni». Così, a poche ore dalla sfida contro la Germania al Borussia Park, Roberto Mancini ai microfoni di Rai Sport ha nuovamente sottolineato le qualità di Wilfred “Willi” Gnonto, una delle grandi sorprese della rivoluzione giovane avviata dal ct. Non che fosse uno sconosciuto agli addetti ai lavori – ha percorso la trafila delle Nazionali giovanili ed è stato uno dei migliori giocatori al Mondiale Under 17 – ma lo era certo al grande pubblico, anche per la sua scelta di lasciare le giovanili dell’Inter e andare a giocare nello Zurigo dove ha potuto giocare3 in prima squadra con ben maggiore continuità. Il coraggio di Mancini, come già era successo con Zaniolo e ben più massicciamente in questa fase della sua gestione (da Gatti a Zerbin a Esposito) è stato quello di farlo esordire in Nazionale senza che il ragazzo avesse messo piede su un prato di Serie A sebbene arrivasse comunque da un campionato professionistico di discreto livello come quello svizzero. Quella azzurra, ovviamente, si è trasformata in una vetrina luccicante per le dinamiche di mercato, anche perché il suo contratto con lo Zurigo scadrà il prossimo anno e il club non ha intenzione di perderlo a zero: dai 6 iniziali, ora si discute sopra i 10 milioni. In Italia si è mosso per primo il Sassuolo a cui si sono accodati il Torino e i sondaggi di Fiorentina. Più concreta, però, la pista che porta in Bundesliga al Friburgo e soprattutto all’Hoffenheim del suo ex allenatore, André Breitenreiter. La Germania, del resto, è nel suo destino: dopo l’esordio in azzurro a Bologna contro i tedeschi (25 minuti scoppiettanti con tanto di assist per il gol di Pellegrini) stasera gli tocca il secondo esordio da titolare dopo quello con l’Ungheria: al Borussia Park esaurito con 44.144 spettatori di cui 360 dall’Italia. Ma saranno moltissimi gli italiani immigrati che tiferanno per gli azzurri e che sperano in una vittoria per lenire l’amarezza e dimenticare le prese in giro che tocca loro subire per la mancata qualificazione al Mondiale. E uno dei più attesi sarà proprio il folletto Willi, uno di quelli a cui Mancini chiede di ridare alla Nazionale «Lo spirito e il gioco dominante che aveva la squadra che ci ha portato in cima all’Europa». LEGGI TUTTO

  • in

    Italia in Germania: come risolvere il problema del gol. Scamacca?

    MÖNCHENGLADBACH – Domani la “nuova” Italia di Roberto Mancini conclude questo mini-Europeo di quattro partite che l’ha messa di fronte a due grandi del calcio continentale (germania due volte e Inghilterra) e a una outsider in crescita come l’Ungheria. Ebbene, i risultati e le risposte sono talmente lusinghiere da aver stupito lo stesso ct (“non credevo che avremmo fatto così bene” ha detto dopo il bel pari in casa dell’Inghilterra) e ha confortato in prospettiva. Già, perché le aspettative erano funeree dopo l’eliminazione dal Mondiale e lo sprofondo contro l’Argentina. Invece 10 esordienti d tanti azzurri responsabilizzati hanno portato nuova linea e nuove idee. Resta però, fragoroso, il problema del gol: in queste quattro partite hanno segnato solo Barella e Pellegrini (2 volte) che attaccanti non sono. A secco Scamacca (solo un palo contro la Germania), Raspadori, Gnonto e gli altri attaccanti. Non convocato Immobile (infortunato) e solo un’apparizione per un affaticato Belotti: i due sono a secco in azzurro ormai da un anno. Contro l’Inghilterra il problema è apparso più evidente che mai. Domani, contro la Germania, Mancini spera di chiudere questo mini torneo con il punto esclamativo: il gol di un attaccante.  LEGGI TUTTO

  • in

    Torino, Belotti si riprende anche la Nazionale

    TORINO – Intanto Andrea Belotti si è ripreso la Nazionale. A Roberto Mancini non sono sfuggite le sue ultime prestazioni impreziosite da gol. Due reti nelle ultime tre partite e potevano essere tre se non gli fosse stata annullata quella con il Venezia che a tutti è parsa regolare. Oltre all’aspetto della realizzazione il capitano del Torino ha dimostrato una condizione fisica importante, proprio come ai tempi belli, fatta di corsa, scatti e intuizioni. Ha preso tanti falli e si è sempre rialzato. A proposito: sapete che il Gallo è l’attaccante che fra tutti i campionati europei subisce più falli? Proprio così. Andrebbe tutelato come, del resto, tutti gli attaccanti. Contro il Cagliari, per esempio, è stato “martellato” da Lovato per tutta la partita senza che l’arbitro intervenisse. Ha ammonito il cagliaritano solo verso la fine del primo tempo e nonostante il giallo il difensore di Mazzarri ha continuato a metterla sul piano fisico. Ha fatto il suo, ci mancherebbe, ma forse certi direttori di gara dovrebbero usare più attenzione […]Guarda la galleryBelotti a -1 da Graziani, ma a Torino passa il Cagliari dell’ex Mazzarri LEGGI TUTTO