INVIATO A MONCHENGLADBACH – Questa Italia in trasformazione sembra uno di quei frutti con un poco di polpa all’interno, ma racchiusa dentro a una scorza talmente fragile che rischia di spaccarsi al primo scossone, con il rischio che tutto quanto vada perduto senza che ne nasca nulla. Come è successo, appunto, contro Argentina e Germania: la prima e l’ultima gara di questo “mini ciclo” di 5 partite successivo all’eliminazione Mondiale contro la Macedonia. Tracciare un bilancio è complesso, anche perché ci si deve districare tra commenti eccessivi nell’uno o nell’altro senso: non era vero che dopo la vittoria contro l’Ungheria a Cesena l’Italia era rinata (o dopo il pari contro l’Inghilterra che solo tre giorni dopo ne ha prese quattro – quattro a zero – dall’Ungheria) così come non sono affatto stupefacenti le sconfitte contro Argentina e Germania che hanno aperto e chiuso il ciclo regalandoci un passivo i 8 gol subiti a zero. Ecco, se coltivassimo di più la misura e l’equilibrio nelle analisi non dovremmo ogni volta affannarci nel ricorrere a iperboli per ri-posizionarci tra esaltazione e catastrofismo. Basterebbe, per esempio, ricordare sempre che da dopo l’a vittoria contro la Spagna all’Europeo del 2016, l’Italia nei tempi regolamentari ha battuto solo una Nazionale (il Belgio che incarna il mistero gaudioso del ranking) tra le prime cinque del mondo. Insomma, ogni volta che si alza l’asticella si fatica a rimanere competitivi e lo conferma il fatto che si è perso male sia con i veterani in campo (contro l’Argentina) sia con i giovani (contro la Germania la formazione con l’età media più bassa dell’era Mancini).
GIOVANI NON BASTA Perché, e questa è la riconferma di un assioma che dovrebbe contribuire a smontare parecchia retorica, la giovinezza non è un valore in assoluto se non abbinato al talento e a molto altro. Intendiamoci: Mancini fa bene a percorrere la strada del rinnovamento che in queste 4 gare di Nations League ha portato avanti in maniera massiccia: 12 esordienti che portano a 50 il numero totale. Ma alla fine si è forse un poco fatto prendere la mano contro una Germania troppo consolidata e più forte per potersi permettere degli esperimenti. La verità è che, esordi a parte, la Nazionale ha funzionato quando hanno giocato coloro che più hanno qualità e che le hanno già mostrate fuori dal recinto azzurro, con Pellegrini esempio più fulgido. Poi, certo, queste gare lasciano in eredità la buona prova di Gatti (ma anche lì: che Inghilterra è questa?) e la scoperta di Gnonto che, gol estemporaneo a parte, contro la Germania ha però trovato pane durissimo. E, infine, la certezza che il futuro sarà ancora un mix con il re inserimento di coloro che hanno vinto l’Europeo. Al Borussia Park, in ogni caso, si è avuta la conferma plastica di quanto mancherà Chiellini. Non solo in campo per qualità e temperamento, ma anche fuori: lui, ne siamo certi, dopo la partita si sarebbe fermato per salutare i connazionali che vivono in Germania e che, loro sì avviliti prima e derisi poi, chiedevano soltanto un gesto di amicizia. Ecco, si cresce anche così. LEGGI TUTTO