TORINO – Victor Osimhen è forte, fortissimo. Il Napoli gioca bene, benissimo. Quindi chi è che trascina l’altro: l’attaccante o la squadra? Entrambi, in questo caso, perché il Napoli non ha perso un colpo, anzi, quando l’attaccante nigeriano era infortunato. Così come lo stesso attaccante è tornato in condizione straordinarie al punto a aver stupito ogni più rosea attesa mettendo a referto 6 reti: gol all’Ajax, gol al Bologna e alla Roma (entrambi da tre punti l’uno) e tripletta al Sassuolo. Che, considerate anche quelle precedenti l’infortunio, assommano a 8 reti in 730 minuti: un gol ogni 91 minuti. Media che si dimezza se si considera lo score successivo al rientro in campo. Ma alla fine si torna sempre lì: è davvero un errore, al confine dell’ingiustizia tecnica e analitica, discutere di questo Napoli con la “reducito a unum” di un protagonista qualsiasi. Sia egli l’inarrestabile Osimhen o l’affascinante Kvaratskhelia. Quel che conta è l’insieme dei fattori: ciò che ha portato il Napoli a completare questa incredibile striscia di 13 vittorie consecutive. Anzi, no: un protagonista assoluto c’è e si chiama Luciano Spalletti. Intendiamoci: noi da sempre sosteniamo la primazia dei giocatori sugli allenatori (perché tu puoi essere un fenomeno in panchina ma non riuscirai mai a trasformare i ronzini in purosangue) ma è altrettanto ovvio che un allenatore possa migliorare un gruppo di giocatori di talento attraverso il proprio lavoro. Che non è solo quello dentro al campo, fatto di schemi e di atletismo, ma quello di gestione del gruppo e dell’ambiente: perché vincere a Napoli, o provare a riuscirci, non è come vincere da altre parti. Succede che si mettano di mezzo feste troppo anticipate poi “traslate” da sconfitte materializzate in un albergo, succede che una vittoria ti porti in paradiso e che una sconfitta ti scaraventi all’inferno soprattutto se la società resta ondivagamente preda di queste montagne russe umorali. Oppure se qualche componente, magari tra i più autorevoli, del gruppo è da troppo tempo invischiato in queste dinamiche umorali, o chissà che, cittadine. E dunque Spalletti ha lavorato assi su questo aspetto. Prima ha appoggiato e condiviso il lavoro di mercato che Cristiano Giuntoli – con l’indispensabile benestare del club – ha portato avanti per rivoluzionare l’ambiente interno al gruppo. Poi si è incaricato di isolare e di formare, lavorare e organizzare, motivare e strutturare.Sullo stesso argomentoOsimhen, quanto brilla l’oro di NapoliNapoli
Il Napoli di Spalletti: divertente e moderna macchina da gol
Ecco : il Napoli di Luciano Spalletti, questa divertente e moderna macchina da gol, è figlio di un processo di rinnovamento che si sta riverberando splendidamente sul campo. E che conferma un assioma che dovrebbe diventare basilari nelle analisi di coloro che si occupano per mestiere di calcio: la partita. Che pure richiama così tanta attenzione, è solo la punta dell’iceberg. Al di sotto c’è una montagna di roba: lavoro, organizzazione, scelte tecniche, gestione del gruppo. Poi, se tutto questo funziona, “capita” anche di riuscire a vincere le partite. E, dettaglio tutt’altro che secondario, di ribaltare aspettative e gerarchie nei sentimenti dei tifosi. Perché sì, sarà un poco superfluo e forse pleonastico ricordare i sentimenti che si respiravano a Napoli (e non solo) in occasione della rivoluzione di mercato, ma adesso assume un significato straordinario il modo in cui Kvaratskhelia e Raspadori, Anguissa, Simeone e Kim hanno sostituito gente come Insigne. Koulibaly e Mertens nel cuore dei tifosi. Giocatori che, ci mancherebbe altro, non saranno mai dimenticati come è giusto che sia ma che di fronte a questo straordinario lavoro di Spalletti vengono incasellati nel posto giusto: quello del passato affettuoso che non innesca il rimpianto.
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