Avvocato Canovi, quando ha incrociato per la prima volta Thiago Motta?
«Ci siamo conosciuti quando aveva 18-19 anni, lui giocava nel Barcellona e c’era la possibilità di uno scambio con José Mari che ai tempi era al Milan. Andai a parlare con Galliani e Braida e gli offrirono un milione e mezzo più 10- 15mila euro a presenza calcolata sui 45’ con un minimo garantito di dieci partite. In pratica al Milan avrebbe guadagnato circa un milione e seicento cinquantamila euro. Andai a Barcellona per sottoporgli quella proposta e lui la rifi utò. E lo sa perché? Voleva dimostrare al Barcellona, dove sostanzialmente era cresciuto avendo lasciato il Brasile giovanissimo, che lui era un giocatore da Barcellona. Io diventai matto e gli dissi “Ma come fai a rifiutare un’offerta così alla tua età?”, ma il suo orgoglio e la voglia di dimostrare chi era prevalsero su ogni logica».Quando invece ha capito che sarebbe diventato allenatore?
«Nell’antichità esisteva lo ius primae noctis e io a tre persone in vita mia ho detto che sarebbero diventate allenatori importanti: Motta, Di Biagio e Stramaccioni. Per quanto riguarda Thiago, ho sempre pensato fin da quando giocava, che era un allenatore nato. Non ho mai avuto un calciatore tanto intelligente in quarant’anni di professione. È un uomo equilibrato, ma, anche se è sempre educato e disponibile, non è un tipo tenero: se c’è bisogno di attaccare qualcuno al muro, lui lo attacca».Cosa c’è del Thiago calciatore nell’allenatore?
«Il suo modo di allenare rispecchia esattamente quelle che erano le sue idee in campo. Thiago difficilmente toccava due volte il pallone. In più, quello che lo faceva assomigliare tanto a Cerezo e Falcao – altri due giocatori che ho assistito -, e lo distingueva dalla massa era il fatto che lui stava sempre vicino al compagno in difficoltà. E se lei oggi guarda le squadre che allena, difficilmente un giocatore, se pressato, non ha la soluzione data da un passaggio a un compagno che gli sta vicino».
I suoi modelli?
«Non credo ne abbia. Sicuramente ha avuto allenatori da cui ha imparato molto e mi riferisco per esempio a Gasperini. Poi ha avuto anche “vincenti seriali” quali Ancelotti e Mourinho e un uomo intelligente come è lui sa memorizzare e riprodurre quanto gli è stato insegnato».
In cosa deve ancora crescere?
«Una volta gli raccontai una frase che mi disse Cerezo, ovvero che voleva smettere di giocare quando avrebbe smesso di imparare. E Toninho lo fece a 38 anni dopo aver conquistato l’Intercontinentale da miglior giocatore nella finale con il Milan. Quella massima a Thiago è piaciuta tantissimo: lui è troppo intelligente per sapere che non bisogna essere arroganti, tanto meno presuntuosi. A tal proposito, lui crede che la presunzione sia il sintomo più evidente della stupidaggine di un uomo, per questo sa bene che deve imparare ancora tanto, nonostante sia già arrivato dove è arrivato».Raccontano che ai tempi di Coverciano si sia creato un feeling particolare con Renzo Ulivieri.
«Un rapporto nato da una discussione accesissima durante una lezione perché Thiago non era d’accordo con quello che diceva Ulivieri. Sa come poi è andata a finire? Al termine del corso, Thiago si alzò e disse “Mister, avevi ragione tu”. E da allora Renzo stravede per lui perché lo considera proprio come lui. Credo che abbia apprezzato la persona: Thiago non recita, è disponibile, intelligente ma ha anche “le palle”. È uno che quando si tratta di far vedere i denti, li fa vedere eccome».
Su cosa l’ha fatta la tesi?
«Sul pallone (Il valore del pallone – Lo strumento del mestiere nel cuore del gioco ndr). Nel corso per allenatore UEFA Pro 2019/2020 c’erano tanti grandi nomi, a partire da Andrea Pirlo, e lui è stato quello che ha avuto la votazione più alta».A Bologna ha raccolto un’eredità pesantissima: quella lasciata da Sinisa Mihajlovic.
«Su questo, una cosa ci tengo a dirla: lui fu interpellato in tempi precedenti a quando poi è andato a Bologna e non volle neanche iniziare a parlare perché su quella panchina sedeva Sinisa. E proprio per questo gli è dispiaciuto molto per essere stato accolto quasi come un usurpatore, come se avesse tolto la panchina a Mihajlovic, quando invece ha accettato solo a esonero avvenuto e non c’erano state trattative precedenti. All’inizio ha avuto difficoltà perché una frangia di tifosi è entrata negli spogliatoi e sempre quel gruppo lo ha aspettato dopo la prima partita che ha perso in casa: episodi che l’avevano alquanto addolorato».
Dopo la vittoria sull’Inter è scoppiato definitivamente l’amore.
«Guardi, un grande allenatore, di cui non posso rivelarle il nome, mi ha detto che Thiago, contro la Fiorentina, ha fatto la partita perfetta (vittoria 2-1 al Franchi, 5 febbraio). Ecco, io ho sempre pensato che ci sono tre tipi di allenatori: quelli che aggiungono qualcosa al valore della squadra, quelli che non aggiungono e non tolgono nulla e quelli che fanno rendere una squadra meno del suo valore. Thiago appartiene alla prima categoria».
Quanto è stato importante il percorso fatto in Italia?
«Lui ha sempre pensato che il nostro calcio, dal punto di vista tattico, fosse il top. Anche se tutto è iniziato al Psg. Le racconto un aneddoto: l’anno dopo aver smesso, avendo già il patentino, poteva allenare nelle giovanili e prese in squadra tutti ragazzini sotto età. La prima partita la giocò contro il Liverpool che aveva due calciatori che avevano già esordito in prima squadra: dopo 20’ già perdeva 3-0 e finì 5-2. Al ritorno, a Parigi, vinsero 2-1 e alla fine arrivò a pari punti nel girone con gli inglesi. Questo dimostra cosa era riuscito a fare in poco più di due mesi».
D’altronde Thiago l’avrebbe potuto anche allenare, il Psg. E non i ragazzini…
«La verità vera su questo argomento è che parte della proprietà lo voleva, ma non lo voleva il direttore sportivo che ha preferito mettere lì un suo uomo (tradotto: Campos ha scelto Galtier, ndr)».
Oggi c’è già chi lo vede all’Inter.
«Credo sia assolutamente prematuro ogni discorso. E che lui sia troppo concentrato nell’ottenere il meglio possibile dal Bologna da poter pensare a qualsiasi altra cosa. Lui vuole fare altre partite come quella di domenica e quella di Firenze».
Tanto, prima o poi, la chiamata arriverà…
«Io ho 83 anni e gli ho detto “Thiago fai in modo, prima che passi a miglior vita, di farmi vedere che puoi arrivare dove io penso che tu possa arrivare, ovvero in una grande big del calcio europeo”. Un altro che è assolutamente convinto di questo è Preziosi che ha avuto l’intuizione di portarlo in Italia. Nonostante l’abbia esonerato, ha sempre detto che Thiago era un predestinato». LEGGI TUTTO