Plusvalenze: il curioso caso Vrioni
TORINO – Non esistono parametri in grado rendere oggettivo il valore di un calciatore: una tesi tanto ridondante, in tema di plusvalenze, quanto complessa da smontare. E così il mare magnum di casi portati all’evidenza negli ultimi anni da svariate Procure, per lo più, si è ridotto a innocua pozzanghera. Le 544 pagine prodotte dai pm Mario Bendoni e Ciro Santoriello e dall’aggiunto Marco Gianoglio per richiedere misure cautelari a carico dei vertici bianconeri nell’ambito dell’indagine sui conti della Juventus, richieste per altro respinte, trattano in maniera ampia l’argomento. E portano numerosi esempi, 22 nello specifico, di operazioni “a specchio” con altri club considerate dagli inquirenti come “plusvalenze artificiali”. Ma proprio in questo fitto cespuglio di nomi e di cifre, in realtà, si annida l’ennesima conferma di quanto aleatorio sia il valore dei tesserini nel calcio. Un caso è rappresentato dall’acquisto dal Pescara, contestualmente alla cessione di Masciangelo, dell’attaccante Brunori, pagato nella circostanza 2,8 milioni di euro dalla Juventus. Difficile, con il senno di poi, nutrire dubbi sulla cifra dell’operazione, dal momento che il giocatore ha concluso la scorsa stagione al Palermo con 26 reti in 28 gare nell’anno solare, precedendo sul podio della speciale graduatoria Benzema e Mbappé. Altroché cifra “gonfiata”, insomma.
Il caso Vrioni
Ma un esempio ancora più oggettivo di quanto sia soggettivo l’ambito proviene dal caso Vrioni. Anche il nome della punta albanese compare negli incartamenti dei magistrati, in quanto prelevato dalla Sampdoria per 4 milioni in un periodo nel quale il percorso opposto era stato compiuto dai giovani Gerbi, Francofonte e Stoppa. Ma lo stesso attaccante, 19 gol in 30 partite con il WSG Tirol nella massima divisione austriaca lo scorso anno, in estate è stato venduto dalla Juventus agli americani del New England per 3,7 milioni, dunque per una cifra del tutto analoga a quella “incriminata”. E, però, all’interno di un’operazione unilaterale, senza alcuna supposta compensazione “a specchio” che possa lasciar presagire cosiddette “plusvalenze artificiali”. Soltanto uno dei tanti esempi pratici destinati a chiarire, ancora una volta, quanto scivoloso possa essere il terreno per chi pretende di dimostrare che il valore di un giocatore, in un dato momento e in date condizioni, sia errato o, appunto, artificialmente “gonfiato”.
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